È la litania più terrorizzante che abbia mai sentito. Voci in un coro che ripetono parole di cui non capiscono il significato, le ripetono alla stessa cadenza, accentando sillabe monotone. Qualche secondo di silenzio e di nuovo ricominciano. Non riesco a distinguere le voci, nonostante ogni tanto qualcuna si stacchi dal coro alzando leggermente il tono.
Sono sola. Seduta sul tappeto con la schiena appoggiata al letto. C'è un gran disordine tutto intorno. Vorrei il silenzio, lo pretendo ma non c'è. I miei pensieri sono troppo rumorosi. Vorrei tacessero e non riesco a fermarli. Dimentico le voci di sotto. Vedo solo una serie di vestiti accatastati sulla poltrona. Una serie di libri sparsi ovunque. Alcuni hanno le pagine stropicciate. Ci sono oggetti di ogni genere nelle mensole o buttati alla rinfusa dentro grandi ceste.
Questo è il mio mondo. Quello in cui puoi nasconderti solo chiudendo una porta. Ma ora non serve più.
Mi hanno avvisata ieri. In serata. Il telefono continuava a suonare e io non avevo voglia di rispondere. Non lo faccio quasi mai al telefono di casa. Chi mi cerca lo fa sul telefonino. Ho risposto dopo molti tentativi, e non avrei dovuto farlo, perchè il mondo surreale che mi creo quando sono sola è crollato in pezzi, scivolando tra i cocci di quello reale. Perchè un incidente aveva cancellato la mia famiglia, nessun altro parente tranne i miei genitori. Che ora non esistevano più.
Ho pensato a loro. Ai loro corpi immobili. Alle loro anime che venivano da me. Ho avuto paura e mi sono sentita leggera. Non la leggerezza che ti solleva, ma la leggerezza di chi non ha nessuno più a cui aggrapparsi e vola via. Non ho paura della solitudine, ma di volare via perchè non ho niente a cui rimanere attaccata. Avrei voluto sparire in un posto lontano, ma non serve a nulla. Io sono sola e il posto lontano per me è qualsiasi posto.
Bussano. Non dovrebbero farlo, non possono dire nulla che mi possa fare stare meglio. Non riporteranno indietro il bacio della buonanotte, i vestiti ripiegati, la calza della befana. Non porteranno indietro i regali inaspettati, la pizza la domenica, il gioco della ciabatta in piscina. Non riporteranno indietro i litigi per gli orari tardi, la spesa del sabato, la decorazione dell'albero di Natale, i film western, le risate e i pianti. Eppure bussano.
Mi alzo e apro la porta. Non guardo nemmeno chi è, non farebbe differenza. Mi chiedono di scendere, che loro mi avrebbero voluto in mezzo agli amici, io non rispondo, ma dentro di me mi domando che ne può sapere quella persona che mi sta davanti e che non riesco nemmeno a guardare di che cosa avrebbero voluto. Io li ho vissuti, io so che loro avrebbero esaudito qualsiasi mia richiesta, so che avrebbero appoggiato qualsiasi mia scelta. So che mia madre sarebbe entrata e mi avrebbe detto qualcosa di assolutamente perfetto, come solo gli anni di esperienza ti possono far dire, e mio padre mi avrebbe guardata coi suoi occhi grandi e dolci e mi avrebbe chiamato piccola mia e mi sarebbe bastato, ma ormai non può ripetersi alcun momento di questo tipo.
Scendo e alcune delle voci si zittiscono. Mi vengono incontro delle persone che mi toccano, non li sento. Mi siedo e li osservo mentre loro osservano me. Occhi che mi guardano e si chiedono perchè dai miei le lacrime non scendano. Non lo so nemmeno io perchè. Me ne sono meravigliata anch'io. Più il pensiero si fa triste più io smetto di sentire dolore.
Inizio a contare, uno, due, tre quando arrivo a millecentodieci le persone se ne vanno. Io non parlo con nessuno, non saluto, non faccio nemmeno cenni col capo. Desidero chiudermi nella mia stanza, ma loro se ne vanno e mi rendo conto che non ce n'è bisogno. Ogni stanza è vuota e io mi appoggio al muro e scivolo. Non so per quanto tempo sto lì, ma la mia mente si svuota, e nel riflesso di luce che entra illuminando una foto sulla mensola di noi tre io piango.