Se c’era una cosa di cui sua madre l’aveva sempre convinta era di essere speciale. In effetti era sempre stata una bambina intelligente e indipendente. Forse un po’ silenziosa e introversa. Sulla sua pagella fin dalle elementari si leggeva del suo ottimo rendimento, ma anche di un certo comportamento che la portava spesso ad isolarsi. Durante la merenda, quando tutti i bambini vociavano in cortile, Emma spesso se ne stava per conto suo, osservando quello che le stava intorno. Ogni particolare le destava curiosità, lo osservava quasi in maniera maniacale, come se dovesse imprimerlo nella memoria per sempre. Non era però una bambina sola, i suoi compagni la cercavano e la coinvolgevano sempre, nonostante non fosse lei a cercare per prima la partecipazione ai giochi e agli scherzi. Era come una piccola mente riflessiva, che non aveva bisogno di parlare o stare al centro dell’attenzione per essere amata. Stare vicina a lei dava serenità e conforto. Forse per questo era speciale, sembrava capire gli altri senza il bisogno che gli altri si aprissero, sembrava poter adattarsi ad ogni carattere e situazione.
Era cresciuta anche lei con questa convinzione, quella di essere speciale e forte. Quella di essere talvolta immune alle gioie ed ai dolori, e questa idea le faceva avere una visione d’insieme del mondo, una visione esterna, talvolta al di sopra delle parti. Se da un lato questo la salvava dal calvario a cui spesso si viene sottoposti durante gli sbalzi d’umore dell’adolescenza, dall’altro non le aveva permesso spesso di vivere a fondo quella che era l’immaturità e la spensieratezza comune alla sua età. Il problema è trovarsi impreparati quando qualcosa ti fa immergere nella vita e travolti dagli eventi si perde ogni razionalità, si perde il senso della realtà e situazioni semplici diventano intricate matasse di sensi e controsensi a cui non si riesce a dare ordine.