a Londra non fui sobrio, mai. e durante peregrinazioni sessuali e sollecitazioni alcoliche, attraversai la nera disperazione meditando sul vizio abissale!
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oratore, un progetto

Ultimo Aggiornamento: 26/11/2010 11:26
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26/11/2010 11:26
 
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L. passò più e più volte davanti la vetrina del negozio. Non proprio davanti, ma a tiro, dall'altra parte della strada ,dal portico. La sera autunnale declinava velocemente, la luce della vetrina rilevava, come in un acquario, la testa della cassiera, le spalle di un commesso, i movimenti rallentati di un avventore attorno al bancone su cui, visibilissimi, si ammonticchiavano in costruzioni di fantasia le argentee copie dell'ultimo libro di Oriana Fallaci, Insciallah. L. riflettè. Il quadro domestico che gli si offriva non aumentava la sua determinazione a buttarvisi, che già latitava. E a poco valeva la consapevolezza di essere atteso. La signora che l'aveva segnalato era una buona cliente, il titolare le aveva assicurato che aveva bisogno di un ragazzo, e questo ragazzo era L. Bastava entrare e affermare di esserlo. Infine decise che non era il caso. Non si sentiva pronto, ormai la libreria avrebbe chuso, non c'era più tempo. Si avviò verso la fermata dell'aurobus, lo prese al volo. La vettura, a fine corsa, volò fino al capolinea, che coincideva con l'abitazione di L. Salì in casa, non salutò nessuno, entrò in camera sua e si buttò sul letto, spossato come dopo un trasloco. Dormì pesantemente, così come si trovava, e il mattimo si svegliò con in bocca l'amaro sapore del non fatto. Uscendo dal bagno incrociò Claudia, che ignorò. In cucina armeggiò alla macchinetta dell'espresso, sedette al tavolo, fu raggiunto da costei. Gli chiese del suo nuovo impiego, lui rispose che l'avevano preso, precorrendo un po' i tempi. "Dici che assumeranno altra gente?" fece Claudia, che moriva dalla voglia di lasciare il suo impiego in quell'ufficio serigrafico in cui non era possibile tirare avanti senza assecondare, un paio di volte al mese, le incontinenze del padrone. "Non penso" disse L., che voleva scongiurare la possibilità di soffrire anche sul lavoro oltre che in casa per il suo amore non corrisposto " siamo decisamente al completo" concluse. "Ma non dicevi che pensavano di aprire un'altra libreria e che quindi necessitavano di altra gente oltre te?" "Dio mio Claudia scusami, scusami, scusami" "Ossia?" fece lei, aguzzando lo sguardo. "Non mi hanno preso, o almeno non ancora" confessò lui, concentrando la sua attenzione sotto di sè, sulla tazzina fumante, dentro cui girò il cucchiaino con intensità e partecipazione. "Che ti hanno detto?" "Nulla. Dal momento che nemmeno ci sono stato" "Davvero?" "Bè, andarci ci sono andato, ma senza entrare".
L. sapeva tutto, intuiva tutto. Ossia che Claudia pretendeva molto altro da lui, molto di diverso. Perchè non si era presentato in quella libreria? Perchè non la rassicurava dicendole: non preoccuparti, oggi ci andrò e stavolta non mancherò di entrarci, di farmi prendere, e saprò con certezza il quadro della situazione relativamente all'apertura del nuovo negozio. Ciò che non disse. Si limitò a sorbire il caffè, osservare Claudia, guardare altrove, verso il divano, sulle sedie, sulle pareti. Ben sapendo che Claudia teneva a lui, che la possibilità di ottenere anche per sè un'opportunità lavorativa non era che un dato accessorio, e che prima di ogni altra cosa veniva la preoccupazione che L. non sbagliasse la mossa, che cominciasse a costruire la sua vita e che ne fosse felice.
Tutto vano. Lui la concupiva, voleva il suo corpo. A Vinci, che gli chiedeva, aveva rivelato l'avversione profonda per tutto ciò che la riguardava, che non la stimava, che non ci fosse altra via che la guerra per congiungersi a lei, spersonalizzata, corporea.
La sera, cenando, saltò fuori la storia della mancata assunzione. Era stato Giacomo, il tipo di Claudia, a rivelarla. L. se l'aspettava. D'altronde era comprensibile che la cosa avrebbe fatto rumore, poichè tutti, in quella casa di sbandati, annettevano all'eventuale assunzione di L. una possibilità per sè. Claudia sperava di lasciare l'orco lascivo della serigrafia, Giacomo lo voleva nel nome della sua relazione (benchè fosse dubbio che fosse al corrente un po' più che vagamente dei lubrici ricatti dell'orco lascivo), Vinci, l'artista delle lampade, sperava di ottenere un impiego giornaliero onde lavorare ai suoi elaborati di notte, cosa che d'altronde già faceva. I fratelli Leo, calabresi, un mezzo di integrazione, benchè il loro problema non fosse sociale ma interiore. Infine Roberta, studente universitaria cinquantenne, ritenendo che un lavoro in libreria avesse attinenza con i suoi corsi di letteratura contemporanea, sperava in un impiego part-time, persino a titolo gratuito. Vinci, assiso su un alto sgabello, puliva le cozze gettandole in un secchio posto sotto il lavello. Claudia e Fabrizio, il più giovane dei fratelli Leo, apparecchiavano. Giacomo, passando dietro la schiena di Vinci, intingeva le frese al rubinetto. L., già a tavola, sminuzzava del parmigiano che accompagnava con il vino. Vinci, attirato dall'odore del vino, di tanto in tanto lasciava la sua opera e attingeva anche lui al vino, che beveva dallo stesso bicchiere di L. Paola, l'universitaria, inseriva Gino Paoli dentro il Technics appollaiato sulla stessa scansia del mini televisore, acceso e muto, suscitando le bonarie proteste di Claudia, che - fosse stato per lei - avrebbe imposto i Mordred all'infinito. "Chi vuole della vodka?" chiese Giacomo, a cui il piccante delle frese aveva aperto lo stomaco. "Io" fece L., allungando il bicchiere del vino.
L. preparava il suo discorso. Avrebbe parlato. Attese che tutti si sistemassero, che le cozze fumassero al centro della tavola, che Paoli esaurisse il suo lamento, che la debole spossatezza immessagli dall'alcool si incarnasse nel verbo. E tutti compresero che L. l'avrebbe riversato su loro, tutti lo seppero, benchè non si fosse palesato alcun segnale, nessun cappello, nessuna frase che ne lasciasse presagire altre. L. aveva cominciato la sua orazione e nessuno, nemmeno L. stesso, avrebbe saputo individuare l'esatto momento in cui essa si era materializzata.

II - Oratore


...
io, perciò, vi accuso
...
non sono quello
...
bevevo molto
...
Mauro, omosessuale e bugiardo, rincasava con le provviste. Mangiavamo ma, per parte mia, soprattutto fumavo e bevevo. Leggeva Alan Ford sotto la lampada verde. Di giorno vendeva le auto. Io me ne restavo in casa infischiandomi delle dicerie paesane. La notte gli dettavo un mio romanzo. La sua grafia rasentava l'inintelligibilità, ma la cosa era compensata dalla rapidità con cui la vergava.
Eravamo i custodi dell'ambulatorio circoscrizionale di A., ma la guardianìa era intestata a lui, per cui era giocoforza sobbarcarsi le sue intemperanze

(a questo punto l'autore descriverà la parte del discorso dell'Oratore che rievoca la vita a 2 in quell'appartamento di custode)
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distruggiti con moderazione vecchio paper (Fet)
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