la prima volta che concepii l'idea di un romanzo stavo guidando. era una mattina nebbiosa, mi aspettava tutto l'orrorre quotidiano di un'altra giornata sprecata oltre i cancelli di una fabbrica, non avevo nessuna prospettiva, mia moglie mi aveva lasciato, bevevo troppo e, infine, quel paralizzante senso di disfacimento da cui ero stato posseduto il giorno che tumularono la salma di mio padre era di nuovo su me, dentro di me, si mischiava al mio sangue, obnubilava ogni residuo di forza di volontà, agiva come un siero venefico e tuttavia lasciava che la mia vita scorresse. ed era questa la vera tortura: andare avanti nonostante la desolazione interiore, non riuscire a gridare la propria personale vendetta, bere l'amaro calice delle minuzie di ogni giorno, seguitare a sobbarcarsi il pesantissimo fardello del "dover" vivere.
ma quel mattino, guidando, sentii un lieve morso echeggiare dal profondo dell'animo. intuii la non assolutezza dei vicoli ciechi. vidi la scarna scansione delle pagine del mio libro non scritto.
restava, appunto, da scriverlo. fatica improba, gioco incerto.
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distruggiti con moderazione vecchio paper (Fet)