"MA COME TU RESISTI, O VITA?" * - riflessioni quotidiane a cura di Mariapia Veladiano

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Pagine: [1], 2, 3
auroraageno
00lunedì 2 aprile 2012 14:28


"MA COME TU RESISTI, O VITA?" *


* San Giovanni della Croce



Commozione


Si commuove il corpo. A sorpresa, prima che l'opportunità, la ragionevolezza, la buona educazione, la paura, la fretta, il decoro, la dignità, l'egoismo possano alzare il muro.
Si commuove a tradimento, nello spazio confuso fra un istante distratto e un altro. Certo, è uno sconcio commuoversi. Il corpo è così scomposto se ci prende a sorpresa: piange, trema, magari si muove da solo, verso l'altro, prima che possiamo ricordarci la prudenza, il decoro, il buonsenso. A che serve far qualcosa: piccolo, inutile, svanito, patetico, romantico, visionario avvicinarsi solitario che vince un momento la paura, e riesce a veder l'altro in me, confusione buona, primitiva, fraternità ritrovata in un mondo di figli unici, forse nemmeno figli, non sia mai che ci tocca esser grati a qualcuno.
Un passo, ecco un passo il corpo l'ha fatto e lo spirito vien dietro perché ha visto e se questo vedere capita il mondo è diverso, pieno di nomi e suoni, non più un battere strade senza nome fra ombre che si ignorano senza fatica.
C'è verità nel corpo: sa che l'amore è nato, lo sa prima che il pensiero se ne accorga. Per gli inganni ha bisogno dell'oscurità.
Si commuove il corpo benedetto, umanità comune, dimora di Dio.


Maria Pia Veladiano

- L'Avvenire.it -

auroraageno
00martedì 3 aprile 2012 08:38

Rancore


Senza. Senza l'ossessione: lui mi ha fatto, lei mi ha detto. Per denaro, invidia, potere, indifferenza, malvagità, pura malvagità. Pensiero preminente, su tutto, che mi precede, accompagna, segue. Ombra densa, collosa, che annoda i sentimenti. Irrecuperabile attesa di poter restituire il colpo. Nitido colpo. Ricordo solitario, rimasto lucente nel cinerino del tempo intanto andato.
Senza l'angustia: solo l'immagine, la scena rivista mille volte, le parole sfrontate non si smorzano nell'aria. Perché non c'è aria. Il respiro bloccato ogni volta che il pensiero si affaccia. Lui mi ha fatto. Lei mi ha detto. Maniaco, solitario consumarsi.
Con la libertà: di pensare pensieri nuovi, messaggeri separati dal dolore ormai innocuo, che può diventare prova già andata, risata saggia.
Vita un po' incauta, pronta a perdersi perché sa di sé, circondata di storie, più serie e più allegre della sua, e voci e coincidenze e scanti, e campi che si possono calpestare lasciando tracce da abbandonare o ripercorrere, insieme e da soli e poi ancora insieme, una festa, allegria del ritrovare questa intima, tutta nostra, potente, necessaria forza che ci fa compagnia.
Vita libera, abbastanza libera, e quindi restituita, nostra unica occasione finalmente afferrata.
Una vita libera dal rancore.


Mariapia Veladiano

auroraageno
00mercoledì 4 aprile 2012 09:27


Stupore


Certo che il «farsi meraviglia» è un bel modo di passare i giorni. Io qua e loro là.
Le spalle appoggiate a un angolo alto. Ben difesa, al sicuro come sul trono di un giudice, l'anima sigillata che si basta del suo custodirsi, che non si è persa mai perché non ha mai conosciuto il partire.
E forse nemmeno il patire. Patire necessario che viene dal turbamento inquieto e curioso. Patire come sentire. Senza dolore, pura contiguità al sentire del vicino. Oppure sì, anche con il dolore, a volte, del portare il peso insieme.
Senza grazia è il «farsi meraviglia». Puntuto come una lancia, nel tempo sempre più precisa. Declinazione devota di ogni giudicare: calcolo, misura, vaglio. Stringere la vita in un confine, perforarla con lo sguardo e passare oltre. Senza vedere. E sentire. Il vento dei diciassette anni sulla fronte. E dei settant'anni sulle mani. E la vita che ci circonda da ogni parte, calore e voci da riconoscere per averle incontrate un tempo, amate, sopportate, accompagnate in silenzio, di nuovo incontrate.
Stupore del tempo che rimane. Del sonno che viene. Delle nuvole, delle montagne, del nostro giardino e balcone che sopravvivono al nostro tradimento. Stupore di essere più grandi del nostro giudicare.


Mariapia Veladiano
auroraageno
00giovedì 5 aprile 2012 11:53


Gratitudine


C'è oggi un vivere ignaro, come se fossimo nati senza essere cominciati, solitari abitanti di un deserto di sentimenti, nel folle dimenticarsi di aver padri e madri del corpo e dello spirito.
Esserci noi, le nostre idee, la nostra vita, il nostro agire diritto e determinato e veloce e senza confini. Noi e il mondo, noi contro il mondo.

Vivere in assenza, sventura che non conosce compianto. Solitario affermarsi, uno su mille. Lasciando a parte chi ci ha dato. La cura, le parole, la vita. O un'esperienza che ci ha disegnato per sempre. Eppure dimenticata, abbandonata, persa nell'ebbrezza dell'inchino superbo al nostro sfaldarci d'amore per noi.
Intossicati di sé. Overdose di un io smemorato e noncurante. Ingrato appropriarsi di quel che abbiamo senza merito alcuno ricevuto.
Come si fa a vivere così? A coltivare l'illusione di esser sufficienti dall'origine, senza fratelli e sorelle e madri e padri. Sfida triste e confusa che ci confonde con la confusione del mondo. Non poter dire grazie, e liberarci dal peso di portarci tutti interi. Non conoscere la leggerezza di dividere la storia, nostra e del mondo. Camminar leggeri. Esser grati.
La gratitudine è questo vivere accompagnati. Preceduti, regalati, mai soli
.


Mariapia Veladiano



auroraageno
00venerdì 6 aprile 2012 17:14


Paura


Per paura la vita diventa un camminare sghembo. Scarto improvviso per non sfiorare il prossimo che rimane sconosciuto.
E scappare di sguardi con la paura al centro e tutto il mondo a confine. Incrociarsi in difesa senza incontrarsi.
Rinunciare al nuovo. Quiete che si cerca con affanno, a testa bassa, in un pensare inconsapevole e perpetuo a tessere fughe, da loro, da noi, da quel che potremmo avere e da quel che abbiamo.
Forse non perderemo un amore, perché non ci siamo fermati a viverlo. Forse l'unico incontro che ci raggiunge, e a cui scegliamo di non dedicarci, ci lascia graffi che fanno poco male e così scansiamo qualche ferita in questo calcare pesante il mondo. In fuga.
Serrare il pensiero senza la leggerezza curiosa degli occhi che vedono. Non sentire lo sciame dei sentimenti che ci moltiplica nelle vite di tanti. E le vite che ci toccano quel che basta per sentirle un po' nostre. Meravigliosa umanità comune che la paura lascia per noi molesta e stridente.
Per paura si abbandona la battaglia buona del nostro bene. La relazione che ci fa persone, viste e riconosciute.
Si rinuncia a capire. Ci si separa. Si uccide. Ci si uccide.
Per paura si muore di paura.
Non aver paura ce lo deve dire un altro.
Insieme è nulla la paura
.


Mariapia Veladiano

auroraageno
00sabato 7 aprile 2012 11:29



Coraggio


È un corrispondere che non si conosceva prima. Ci sorprende. Un essere che non ci appartiene ma ci possiede e ci porta dove non sapevamo di poter andare. Non conoscevamo nemmeno il dove. Improvvisamente l'altro, la sua vita per noi ora vista, vicina, nostra, diventa purissimo esistere, assoluto che ci solleva dalla comune, forse opaca confusione del nostro spirito, fuori di noi malgrado noi. Non in fuga, ma qui, sul nostro unico presente, irrinunciabile esserci senza che la coscienza eserciti il suo fustigare estraneo. E non c'è peso nell'impensato assecondare la vita che ci investe e ci porta, santo dimenticarci del nostro tremare dello spirito prima che del corpo. Certo si può sprofondare, insieme, in questo afferrarsi le mani. O riemergere, l'uno, o l'altro o tutti e due. Comunque nuovi nel continuare la vita, e anche nel lasciarla, per regalarla, atto divino, che divinamente ci viene dato di fare.
E poi c'è un coraggio quotidiano e solitario, minuto e muto resistere, al dolore o al più triste abbandono, o all'usura della speranza, e del desiderio, e dei giorni. E questo resistere è la condanna di chi non lo vede e passa oltre.
Certo che non ce lo possiamo dare il coraggio. Ce lo regaliamo l'un l'altro
.



Mariapia Veladiano


auroraageno
00lunedì 9 aprile 2012 11:35


Gioia


A volte la vita trabocca. Su di noi, con noi, attraverso di noi. Allora arriva la gioia, che ci prende e ci solleva in alto, sguardo largo sul mondo, sopra la fatica, che certamente o forse ritroveremo, ma sarà parte del nostro camminare, non avrà più il peso del tutto. Non sempre si vede da dove arriva, può essere un lampo, vita che illumina altra vita, oppure un lento costruirsi di minuscoli eventi, parole date e ricevute, attenzioni, incontri che non manchiamo, risposte dalle quali non scappiamo. E l'ultimo di questi frammenti, per caso, senza apparire in alcun modo, ricompone la nostra storia.
Improvvisamente la vita basta a se stessa, non c'è attesa vaga di un oltre. Un nascere nuovo che non sa la sua ragione ma sa di aver valore. Non una qualsiasi felicità d'ombra e polvere, come ci capita di vivere, intravvedendo già il suo confine. Magari cercata, inseguita e poi scappata. C'è una gioia che non ha prima e dopo. Non ricorda nulla della pena dei giorni, ma solo, per lo spazio di quello sguardo largo sul mondo, solo l'incanto di esser parte di una cosa buona. Molto buona. Sentire che tutto può essere coltivato, come una vita appena nata.
La gioia è scoprirsi parte della creazione. Creatori anche noi
.


Mariapia Veladiano



auroraageno
00martedì 10 aprile 2012 09:38




Delusione


La delusione arriva lenta. Si insinua e striscia. Non la sentiamo e poi è lì. Ce la dà l'altro. Gli altri. Tanti. Non mi hanno guardato, detto. Non hanno capito. Ascoltato. Non hanno intuito. Nessuno ha visto. E io a sperare, anticipare. Che venga qualcuno. Che mi telefoni. Mi dica le parole che ho immaginato. Così semplici, limpide nella mia fantasia.
E invece no, silenzio. E diventa tumulto il pensiero.
E la pace che non sa arrivare più, delusione come ossessione di uno sguardo ormai solo su di me, ormai sfida allo sguardo dell'altro, infinito attendere sempre più cattivo, e doloroso, e tremendo nel suo implacabile bisogno.
Come può il mondo non accorgersi? Che il respiro è corto, non va oltre la mia frontiera, confine murato, come usa oggi in terre già rese deserto.
Chi sto deludendo oggi, nella mia vita chiusa, stamattina, prima ancora di non fare, non dire, non vedere? Qualcuno di cui so il
nome e diminutivo, inchiodato all'attesa, fosse pure di una parola chiara, che finalmente chiude un
sogno che non era nato davvero, e può lasciare spazio a un altro che non si conosce ancora.
C'è un potere triste nel deludere, un promettere più di quel che si può, un dire meno di quel che si deve. Un trattenere la parola e il gesto che sul campo lascia solo vinti
.



Mariapia Veladiano

auroraageno
00mercoledì 11 aprile 2012 09:41


Rimpianto



Di non aver detto. Di aver urlato i fatti senza conoscere le ragioni. Di non aver creduto o di aver dissipato il credere d'altri. In noi. Il credere in noi. Di aver giurato, promesso, glissato. Governato una vita prudente, in cui ogni natività prometteva uno sconquasso e non è stato difficile trovare silenziosi Erodi in ogni tempo, nostri compagni di omissione. Di aver pensato male, incatenati a un sentire comune che sa per comune ignoranza.
Di non essere stati abbastanza vivi ogni giorno.
Di non aver confessato a nessuno mai il nostro desiderio. Di aver mentito raccontandoci di non aver visto il desiderio degli altri. Né il bisogno.
E non aver cantato mai nessun canto, per paura, superbia, pigrizia. In difesa noi, per gli altri offesa.
Sobbalzare ad ogni affiorare di figura dall'indistinto dell'ombra. Senza saper davvero piangere. E immaginare di poter credere che questo sia forza, concreto tenere i confini del mondo. Tutto intero, colonne a noi stessi.
Ed esser grati al rimpianto, che di colpo ci riconsegna al giorno che viviamo, al riaffiorare non di tutte le possibilità, ma di questa presente, al bene da prendere e dare. A tutto ciò che potremo portare con noi, senza più paura di guardare quel che è stato
.



Mariapia Veladiano

auroraageno
00giovedì 12 aprile 2012 08:58


Desiderio


C'è un'età in cui il desiderio è moltitudine, confuso, scomposto, un campo di battaglia in cui tutti gli schieramenti hanno ragione, perché sono vita da sdipanare in direzioni tutte ancora possibili, e da percorrere in parte e poi lasciare e poi ancora percorrere. Diventeranno progetti, creazione, vita.
Una specie di trasumanare del desiderio, un superare l'umano limite, che ci porta oltre le nostre forze, e non sappiamo come ma è possibile più del nostro possibile.
In questa stagione il desiderio è vita pura, ancora sconosciuta vita. Perché ha la furia dell'interrogare, non si rassegna all'ovvio, non sa credere che la vita è tutta qui.
Gli occhi fissi a un possibile che non ha orizzonte, l'appartenere ad altro che non è il nostro limite. Non sopporta l'oltraggio della ragionevolezza.
È sempre potente. Non c'è alleato più fidato per il nostro buon agire, se ha speranza.
Il desiderio giovane muore quando la speranza viene scippata da generazioni che non hanno creduto in un futuro da consegnare ai figli, oppure se si estenua nel sognare l'impossibile, l'abbaglio di un successo che non ci conquistiamo con l'impegno dei nostri talenti l'un l'altro riconosciuti.
La dissipazione del desiderio giovane è il nostro male e la nostra condanna
.


Mariapia Veladiano



auroraageno
00venerdì 13 aprile 2012 09:59

Indifferenza



Capita di attraversare il mondo con occhio straniero. Straniero alla vita. Con il cuore in un altrove che non sappiamo dire, non perché ci manchino le parole, ma perché anche quell'altrove non vediamo.
Di camminare fra nomi che non ci evocano storie, perché non ricordiamo i nomi, e non ascoltiamo le storie. Di non riconoscere nulla che abbia valore, a partire da noi, a partire da noi. Nessun messaggio da raccogliere. Né lettere da inviare. Nessun dolore da sentire, nessuna simpatia da assecondare.
Da dove si ricomincia? Come scassinare la nostra chiusa vicenda di solitari, malinconici passeggeri per caso, per sbaglio.
Bisogna educare bambini e ragazzi e adulti e anziani, un mondo intero che avanzi pretese sulla nostra indifferenza. Che vanti il diritto di imporsi al nostro passare oltre. Di costringerci a salvare la loro unica vita. Che si aggrappi alle nostre mani e si faccia accogliere e accudire.
Strapparsi gli uni gli altri all'indifferenza diventando profeti che gridano e ci consegnano al dovere di salvarli, di salvarci. Un vedere, finalmente, che ci soddisfa lo spirito e anche le mani. Essere al proprio posto, fra persone di cui sappiamo raccontare le storie perché sono anche la nostra storia
.


Mariapia Veladiano



auroraageno
00sabato 14 aprile 2012 10:04


Disperazione



C'è questo stupore che il tempo continui, continui oltre il nostro dolore. Com'è possibile che le persone abbiano ancora un'intenzione, una meta da raggiungere, un'incombenza da sbrigare, magari in fretta e di corsa, senza niente pensare. E il governo un decreto astratto e indifferente da votare, assenti tutti dai banchi, tranne gli interessati. Perché ancora sono convinti che un interesse, il loro interesse, valga la pena. Mentre il mondo è tutta una pena. E tutti fan finta di credere a qualcosa: la cena da preparare, il bollo da incollare.
Bisogna averla conosciuta la disperazione. Toccato la fine del nostro mondo, addossati al confine ultimo, niente più in là. Non il caldo di un desiderio che ci aspetta almeno come promessa, non le mani che ci sfioravano e che abbiamo perduto, nemmeno la fantasia, la più bugiarda delle promesse. Niente. Niente.
E niente si può dire perché la disperazione sente solo parole insincere, che dicono la consolazione senza conoscerla, e fanno male come una predica distratta a un funerale.
Che ci trovino accanto. Silenziose presenze senza pretesa. Senza giudizi. Senza soluzioni. Dove trovar pace. Una vastità accogliente. Che non giudica. Che offre riposo. Non siamo soli, non siamo soli
.


Mariapia Veladiano


auroraageno
00lunedì 16 aprile 2012 11:33



Speranza



C'è qualcuno che mi aspetta.
Una corsa possibile, che potrebbe fare e farà, per venire e insieme resistere, ancora una giornata, tutta nuova, nessun gesto distratto ancora fatto, non una parola sgarbata ancora detta, nessun appuntamento saltato.
Certo non è qui ora. Né lui né lei. Mi rimane il segno di un profilo, visto certamente, l'impronta di una voce sentita un tempo chiara, era una promessa, non sei sola, non lo sei mai stata ma ora lo sai.
Fa la differenza averlo sentito. Poterlo ricordare.
C'è forse un tenere estremo, così timoroso di apparire che non vuole farsi sentire. Ma a me è stato detto.
So che nemmeno il silenzio è un addio. Che l'assenza è un impedimento, suo, o un'incapacità, o un'impossibilità. Ricordo quel che è stato e lo sento parte di me, per sempre dentro come cosa buona,
Vista da sempre. Sono stata vista da sempre. Pensata e voluta e poi desiderata come radioso compimento di una vita.
Mi si dimentica, oggi, così penso nel mio bisogno.
Ma una promessa mi è stata fatta. Era qualcuno che le promesse le mantiene. Anche quelle a cui nessuno ha creduto. Ha detto che sarebbe tornato. Ed è tornato.

C'è qualcuno che mi aspetta, oggi. Devo alzarmi, devo andare. Ho promesso. Ricordo bene di aver promesso
.



Mariapia Veladiano



auroraageno
00martedì 17 aprile 2012 09:18



Angoscia


Dal profondo. Quel che nasce dal profondo porta con sé una promessa. Non è senza fine il cadere nell'angoscia, c'è un punto da cui risalire, dal profondo di un dolore che posso dire almeno come grido, che altri possono sentire, per poi guardar giù e insieme attrezzare un soccorso. Ci sono pietre da sollevare, passaggi da costruire, persone da far tornare, un indirizzo da scrivere, o una poesia, un corpo da curare.
Una qualche piccola puntuta, a volte solo pensosa, verità che abbiamo dovuto trovare e che ora è parte di noi, oppure che possiamo mettere in comune con chi ci ha aspettato là fuori, forse per tanto tempo, senza poterci aiutare, ma senza sparire mai.

Quanto all'angoscia, è il nostro segreto.
Un esser sull'orlo di tutto, affaccio sul morire e quindi sul sapere, finalmente, vedere il nostro agire nel tempo sempre più svelto e più lontano e meno mio, e invece sempre più di altri che chiamano, vogliono, si aspettano, si aspettano da noi quello che non siamo. E l'angoscia è questo quasi da fuori capire che non sappiamo, davvero non c'è luce per leggere, però possiamo insieme regalarci l'un l'altro infiniti perdoni e con la gioia di questi doni andare fino in fondo, come tutti, con tutti, e infine forse sapere, sì, ma intanto essere felici, per quanto possibile
.



Mariapia Veladiano


auroraageno
00mercoledì 18 aprile 2012 20:24



Tenerezza


Certo che ci si espone. Allarghiamo le braccia per accogliere e il cuore è lì comodo a chi ci pugnala. Sorridiamo e la risata del mondo ci può travolgere cattiva. La mano aperta per carezzare può venire afferrata e i polsi fanno male mentre qualcuno ci spinge contro muro. E il cullare è anche duro, di notte, stremati, con gli occhi già chiusi di fatica.
Ma cosa viene dall'assecondare la seduzione buona di seguire la legge del corpo, consolati per contatto, per contaminazione, passaggio di calore, legge fisica e spirituale del disarmo che smantella la volontà d'offesa, non si uccide chi ci abbraccia. O forse sì, incarnazione, croce, storia della tenerezza di Dio per l'uomo. Ma la tenerezza ci rende giusti. Amati più di quel che ci amiamo. Giudicati per quel che non possiamo e non per quel che facciamo, o siamo.
Desiderio accolto nella forma dell'origine: carezza antica che viene dall'audacia di chi si fida, si affida completamente e non teme abbastanza per sé perché teme molto più per noi. Quanto divina è la tenerezza che si fa scoglio all'offesa, non scappa l'agonia, è leggera e tremenda, non sa di frontiere fra me e te.
E poi la tenerezza è lenta come il tempo del piacere. Come un'eternità che promette pace
.



Mariapia Veladiano



auroraageno
00giovedì 19 aprile 2012 08:20



Ottimismo



Ma come si fa?
Certo che siamo esperti di vorticosi zapping mentali. Se nell'incauto spazio di una nostra distrazione si affacciano gli occhi troppo grandi di un bambino vivo appena quel che basta per oggi, per ora, niente in più, niente che prometta il domani, figlio d'altri grazieadio, figlio d'altri e non nostro, se capita, allora è un attimo e subito abbiamo millemila provvide incombenze cui pensare e anche più da fare.
Sicuro che una piccola compartecipazione a tempo alle sventure del mondo la possiamo dare, lo spazio del perfido sms solidale: perfido, apotropaico demoniaco comprare la coscienza con euro 1 a volte 2. E poi via. Sia mai che la sventura sia contagiosa. Già ci tocca saperla.
Scappare da mille morti quotidiane per abitare la nostra unica, anticipata, qui a dire che tanto non si può far niente, che la vita è così, che sempre così sarà.
Ma come si fa a non prendere e stringere mani fino a sentir male, guardare fino a far lacrimare gli occhi, come si fa a vivere sapendo.
Sapendo che possiamo celebrare finalmente insieme la diaspora dal nostro egoismo, fare una cosa sola, o anche due, e così scendere dal calvario assurdo di una vita che intanto ci inchioda a esser soli, sordi, ciechi e scontenti.
L'ottimismo è voler resistere al male, comunque.


Mariapia Veladiano

auroraageno
00venerdì 20 aprile 2012 08:21


Fede


Come si racconta il sentirsi avvolti da un bene nascosto che non dà spettacolo, non si mostra, si trova a sorpresa dietro l'angolo della solitudine più totale, sa l'arte insolita di ascoltare anche se non ci sono risposte da dare, perché proprio non ci sono, non perché non le si sa dire, e si è appagati, quel che basta per non vivere di bufere e si sente che, anche se non ci capita, si può essere una cosa sola, e così si scioglie la paura in un fare prudente e anche potente perché di questo credere insieme ha bisogno chi è nel bisogno e in nessun caso l'esser scettici li aiuta, ci aiuta, e allora con la schiena dritta in fronte al cielo si è travolti di gratitudine per chi, qui sulla terra, ci ha amato di un amore che ci ha voluto oltre ogni ragionevole conteggio del bene e del male, ci ha tenuto nell'errore e nella passione, ha creduto che una vita screpolata, arroccata sopra strade come gironi, porta una promessa senza misura, così grande che riaffiora e riaffiora malgrado il nostro costruir macerie di cemento e di parole e si può, grazie a questo, dir di sì a tanto, non a tutto, ma a molto: al fallimento, perché so che può non essere finita, alla slavina del tempo e anche alla morte, perché sotto, sopra e intorno ho visto che c'è sempre vita.


Mariapia Veladiano

auroraageno
00sabato 21 aprile 2012 10:21



Fedeltà



Qualcosa si è rotto, irreparabilmente si direbbe. Il temuto è avvenuto, lo hanno visto tutti e tutti ne parlano. E anche se non fosse così, intanto di certo è avvenuto. Indicibile silenzio, attesa spietata di una sera, una settimana, un tempo senza misura come sempre quello dell'abbandono.
A chiedersi se non vuole o non può. Se sono io per caso, errore, ironia. Anche se la differenza è minuscola nel fatto d'esser qui tradita. La freccia è per me, la direzione non lascia traccia, solo la punta di veleno conta alla fine e la sento, con i tre angoli dentro. E mi strappa. Vita strappata. Nessun senso mi è più alleato: troppo aver visto, gli odori portano immagini che squarciano, non si sa per chi cucinare e con chi sedere a tavola, troppa felicità del mondo mi arriva. Non mia, e anche il cielo non piove più ritorni né patti.
Se fosse un delirio, ma c'è vento fresco sulla fronte e la vita è ben salda nel corpo, come se bastasse, come se non fosse ormai l'anima intirizzita di promesse mancate: un figlio, la salute, un lavoro, un amore.
È questa la fedeltà, te la insegno Signore: io ci sono anche se non ci sei, ti sono vicina e ti tengo nel pieno sconvolto del mondo rovesciato, fra chi domanda a ogni incontro: Dov'è Dio? Dov'è?
Io sono qui
.


Mariapia Veladiano

auroraageno
00lunedì 23 aprile 2012 05:54


Rassegnazione



Si può voler rovesciare il mondo e non riuscirci.
Trovarsi a vivere una vita fatta soltanto di inverni. E di finzioni. Costretto addestramento al piatto non sentire: né il desiderio, non più l'attesa, mai più un amore. Avvolti da un grigio senza nobiltà, nemmeno quella di sapere il proprio disamore. Disumana certezza che niente può cambiare e che solo il peggio tien dietro ai tentativi. Infilata interminabile di ore che non si distinguono, e giorni uguali agli anni e non si sa dire quando sia cominciato il muto chiuso nostro crollare, intimo, senza immagini e senza sonoro, e non si vuol pensare a quando possa finire.
Mentre intorno si nasce tra il tripudio egoista dei vicini e dei distanti, ci si sposa e addirittura risposa, e noi a guardare senza avere il cuore di ricordare.
Si può chiedere aiuto. Sempre. Un aiuto indistinto come i nostri pensieri: fa' qualcosa per me, rovesciami il mondo addosso, pieno di bisogni che hanno un nome semplice. Pane, casa, vestiti, coccole. Si può con un urlo liberato costringere l'altro a sgusciare finalmente fuori di sé e salvarsi. Salvarci.
Anche far nulla, si può. Se non si ha la forza. E restare qui. Essere scrigno per i tesori di chi viene a consegnarceli.


Mariapia Veladiano

auroraageno
00martedì 24 aprile 2012 07:55



Sconforto



Schiere distinte di possibilità sfrontate ci son passate davanti in processione troppo veloce perché fossimo invitati e si sono allontanate con passo che fa rumore e dice addio a chi resta, peggio per te.
C'eran tutti mi sembra. Gagliardi, indolenti, buoni, maledetti. Alcuni scrivevano bilanci, altri coltivavano nasturzi, c'era chi portava vasi al camposanto e chi studiava da seduttore. I pigri si lasciavano trainare ora qua ora là, ma anche loro c'erano.
Solo io in dissolvenza, fantasma al margine delle corti, con le briglie dell'afflizione al collo, tutti i posti occupati mi sembra, a chiedermi che fare, dove portare lo sconforto che mi costringe.
Da dove viene mancanza di coraggio che mi tormenta?
Inadeguatezza? Inettitudine? Accidia? Egoismo? Puro cristallino egoismo?
Accontentarsi di quel che c'è, sentirsi sicuri sul fondo, sconcertati, con il sentimento di pettinar bambole mentre Roma brucia, Sagunto viene espugnata, la tromba suona il bagliore perfetto con cui la falciatrice inesausta si annuncia?
E poi alzarsi e
camminare, anche noi, perché qualcuno ci ha chiamato, è già un po' avanti e potremmo anche aver sentito male, ma crediamo di no, e intanto che andiamo ci si presenta l'un l'altro e capita che si faccia amicizia, e anche ci si ami
.



Mariapia Veladiano

auroraageno
00mercoledì 25 aprile 2012 09:32


Amore (1)


Si chiama in molti modi.
È il verso di gioia, custodito, silenzioso, di chi vede la prima volta il proprio figlio, tutta la vita tra le mani, Dio che si consegna e noi lo abbiamo fatto, e ora lo vegliamo, e non possiamo chiudere gli occhi mai più, mai più la vita non ci riguarda, tutta intera, senza pareti fra noi e loro. Noi e tutti.
È il lamento di chi scopre l'amore quando vien meno e all'improvviso sa che qualcuno che non c'è più gli ha permesso di diventare quello che è, e lui non l'ha visto finché è stato vicino e ora vede ogni cosa, ora che è assente, per sempre, eppure è possibile continuare perché questo è l'amore di padre e di madre, ci fa vivere restando nascosto, perché è così grande che a mostrarsi intero potrebbe far male e anche piangere va bene, come un profumo che esce da un vaso che si è rotto, e bisognava pur che si rompesse il vaso se la chiusura era così stretta.
E si sa senza cercare che non è amore se si vuol dargli un confine, come non si può dominare la bufera, o anche l'aria, lo spirito, il suono che dilegua, non posso trattenerlo, ma l'ho ascoltato, mi ha cambiato, mi accompagna come piacere, avuto, che rimane sotto altra forma, memoria, emozione, un bambino, qualche volta, un bambino
.


Mariapia Veladiano



auroraageno
00giovedì 26 aprile 2012 07:57


Amore (2)



A volte è malamore. Prendere con la forza quel che può solo essere regalato. Trattenere quel che si deve lasciare. Non accogliere lo spazio del desiderio, il vuoto della distanza. La bellezza di un esplorarsi di libertà che pure lottano ma nella lotta tessono la loro identità ed escono vivi.
Invece no. E quando è malamore non c'è parte che sia buona in cui stare.
C'è grande confusione, in cui gongola il demonio dicono i santi: anche le attenzioni malate e folli son pur tuttavia attenzioni, essere riconosciuti. Così capita di essere dannati ad accettarle. Un po' alla volta. Apprendistato triste del proprio soccombere all'altro.
Queste cose non avvengono nel deserto. Ma tace il mondo vicino. Si tace. Per piaggeria, per reverenza, per obbedienza e per stupidità, per prudenza. Anche questo è malamore. E quante volte la prudenza del mondo è sorella della complicità.
E si è soli, ad andare controvento, quasi fermi, forse proprio fermi, tutta la vita, a trascorrere giorni in cui sempre almeno un oggetto, un'espressione, il ricordo di una frase diventa improvvisamente una puntura di lancia che colpisce a tradimento.
Infelice chi pratica il malamore, molto più infelice chi lo subisce. Ma guai a chi finge di non vedere
.


Mariapia Veladiano

auroraageno
00venerdì 27 aprile 2012 10:56


Amore (3)



A volte è amore finito. O almeno lo sembra proprio. Ma può finire l'amore?
Tante parole che viaggiavano insieme. A gara per dirsi in coppia, quella dell'uno che arriva appena prima di quella dell'altro. Vite allineate.
Anche i pensieri viaggiavano insieme, intrecciati, l'uno che inizia, contamina, avvinghia il pensiero dell'altro, ci fa una glossa, ci gioca, lo conserva, lo custodisce.
E poi viene il giorno in cui tutto tutto è babele, anche il silenzio diventa straniero.
Amore che non si riconosce più. Non rimane perché non lo si è avuto, forse, o non ci è dato di saper cosa sia. Ci dicono che è fidarsi e non aver paura. Dono che non perdo perché lo conserva l'altro per me. E così è mio e nostro. Promessa in cui credo. Possesso che non chiedo. Vita ritrovata ogni mattina.
Capita che non si sia avuto mai. Un pezzo di vita che manca, passaggio d'umanità dovuto eppure non avuto. Allora non si può proprio credere all'amore. E così è sgangherato il sentire, eppure nella malinconia infinita che rimane, o anche nell'ossessione che chiamiamo odio quando capita, oppure nel correre in cerca di un altro e poi un altro amore, resta quel che l'amore promette, quel che l'amore ha promesso: abitare l'eternità, anticipo di quel che sarà
.



Mariapia Veladiano

auroraageno
00sabato 28 aprile 2012 08:40

Amore (4)


A volte si perde l'amore. Se ne va come se non ci fosse mai stato, improvvisamente colpiti da indegnità e non si sa raccontare una storia che spieghi: troppo minuto il nostro accudire? Troppo attaccamento, troppo distacco, troppo docili, troppo orgogliosi, troppo irriverenti, deferenti, originali, contraffatti, furtivi, sfacciati, queruli, segreti. Appassionati.
Non ci si crede ed è giusto. Le parole dette, ascoltate, non passano senza cambiare, e quindi dov'è il nostro tessere comune le età che si intrecciano e confondono i ricordi bambini perché l'amore è eterno in avanti e anche indietro e sappiamo che tutto era pronto ad allinearsi fin dal principio, e infatti è capitato proprio a noi così sì questo possiamo raccontarlo. Non la fine di un amore. Per quello non abbiamo le parole.
A volte si inventa un amore per coprire il dolore. Che l'amore sia finito. Che non ci sia mai stato. Che non lo abbiamo coltivato. Scivolato nella distratta virtuosità dei giorni, sbriciolare promesse, non conta nemmeno la disciplina, piccolissime assenze diventano oltraggio, non visti, non sentiti. E poi le attese e nessuno si accorge che intanto finisce. L'amore finisce?
Come si fa, come si fa?
E così tutto dice che l'amore è tutto
.



Mariapia Veladiano

auroraageno
00lunedì 30 aprile 2012 08:57


Amore (5)



E poi cielobenedetto viene il giorno in cui si può quello che non si sapeva di potere. Dedizione, disseminazione di sé, spreco felice, dimenticarsi e perdersi nell'altro, bisogno riconosciuto, accoglienza senza sforzo alcuno, abbandono, l'uno nell'altro e finalmente si può capire, dare, ricevere, affrontare il mare della paura senza morire, senza rinunciare ad attraversarlo, insieme, e salire tornanti, resi fortissimi dal peso dell'altro, felicemente corpo che sente tutto, trema al ritmo dell'altro, e felicemente spirito, che sente ugualmente tutto, e insieme non conta la malinconia, e non si possiede nulla, non ci si possiede, l'altro ha in mano tutto di noi e noi di lui ma è un tenere a palme alzate, liberi di andare e felici a lasciare andare eppure pronti a trattenere, con saldezza se c'è pericolo, fino alla
fine, smemorati di sé e anche al centro di tutto, fedeli di uno sposalizio non comandato né scritto, necessario e pago di inappartenenza naturale, disarmata, e ancora potente, portati al di là di noi, più forti, più forti, come mai avevamo saputo di essere, più generosi, più belli addirittura. E il corpo così lieve, all'improvviso, amico dello spirito, che conosce la speranza, che vive la promessa
.


Mariapia Veladiano



auroraageno
00martedì 1 maggio 2012 09:06


Invidiare



Non si fa mancare nulla di nulla chi invidia. Si occupa di scarpe, automobili, libri, orologi, collane e mariti, o mogli. Livido figurante del potere, visto che non è dio si affatica, si estenua, fa pratica di malvagità su tutto quel che lo circonda, umiliare il mondo per innalzarsi, senza essere nulla in più, troppo infelice e quindi senza misura cattivo. A non perdersi un batter di ciglia, atomizzato in milioni di inutili attenzioni per carpire, sapere, e giudicare, giudicare, giudicare.
Con un effetto distruttivo, su uomini e cose. Su se stesso per primo, segregato nel pensiero, umiliato dalla vergogna di essere sempre lì, senza distacco possibile dal bene degli altri, da corrodere e irridere. E non poter nemmeno travestire di una qualche nobiltà di parola questo peccato impudico che alla fine non può star nascosto.
Carsismo del male che prima a lungo scorre sotterraneo e ci riempie di caverne in cui annegare l'energia che pure abbiamo, potente, nostra, che intanto declina, nell'avvilimento di non portarci ad essere quel che veramente vogliamo, andare liberi, alzar la fronte e dire all'altro con la simpatia di chi si somiglia: «È forte la tua bufera, la possiamo attraversare insieme?».
«Essere uomini e non essere Dio. Questa è la summa. Non c'è altro» (Lutero)
.


Mariapia Veladiano

auroraageno
00giovedì 3 maggio 2012 10:16

Cantare



Non è necessaria la voce limpida e accordata. Il cuore leggero però sì. E nemmeno un pubblico è obbligatorio. Però a qualcuno ci si rivolge.
È un traboccare di noi. Come una creazione. Non poter trattenere quel che siamo. Regalarsi alla vita che ci avvolge.
Canta il corpo, dice l'amica soprano, tutto il corpo. Se non c'è armonia di sé non c'è bel canto. Né se manca l'amore di sé. E gli altri? Si canta quando non si odia, non si è arrabbiati, non si tiene il broncio, non si prova rancore. Almeno un po' di benevolenza è richiesta. Quel che basta.
Ogni organo fa la sua parte, dice l'amica. Non tutti gli organi hanno un nome musicale: laringe, diaframma, bronchi, viscere anche. Non importa. Tutti fan corolla alla voce che si disperde senza far conti, segreto della vita nascosta del corpo che diventa quasi spirito, avviso di quel che sarà.
E anche la volontà c'entra, è sicuro. Non si canta sopra il pianto straniero del mondo, oppure a sovrastare la pena di un silenzio che va prima esaudito.
Bisogna volere una storia nuova, per poter cantare. E lavorare con mani e piedi e intelligenza e volontà a questa storia. Per questo, ed è bellissimo, chi lavora, può cantare.
«Saldo è il mio cuore, Dio,
saldo è il mio cuore:
voglio cantare inni, anima mia» (Sal 108, 2)




Mariapia Veladiano

auroraageno
00venerdì 4 maggio 2012 09:33



Pensare



Dicono che sia la nostra più nobile facoltà. Ci mette proprio in cima alla piramide. Autorizzati solo noi ad accatastare summe, a esser dottori, rettori, chiarissimi e anche monsignori, e a parlare dell'Altissimo.
Piccola rassegna, senza qualità e pretese, di pensieri quotidiani: che faccia, che pancia, non mi entra niente, son tutti ladri, ci rubano il lavoro, e anche delinquenti, non ci si può fidare di nessuno, è sempre la solita storia, fa preferenze, si capisce che c'è dietro qualcosa, quanti anni ha? dove sta? chissà da dove gli arriva, lui ha detto, lei ha detto, forse ha voluto dire, si capiva che era contro di me, invidioso, sempre a pensar male di tutti, ma l'ha detto o non l'ha detto? Cosa ci vuoi fare, così va il mondo, così va il mondo così va il mondo.
Scrosciare di chiacchiera chiusa, intima, che ci svigorisce, offende, ammala.
E grazie al cielo, come ombra sognata nell'abbaglio che spiana e livella i nostri desideri, arrivano i pensieri della cura, dovuta e insieme amata: vado a prenderlo a scuola, le faccio una sorpresa stasera, prendo il pane fresco, un mazzo di asparagi per tutti noi intorno al tavolo, a raccontare il giorno.
Quanti pensieri, numerati dal mattino alla notte, coltivano la nostra nobile facoltà?
«Radice dei pensieri è il cuore» (Sir 37,17)



Mariapia Veladiano

auroraageno
00sabato 5 maggio 2012 09:21


Conoscere


Di certo sappiamo che l'indaco è un felice miscuglio di ciano e magenta e che la stalagmite delle Bahamas è cresciuta al ritmo di 10 millesimi di millimetro l'anno.
Da qualche parte dell'universo, ci dicono anche, intere galassie spariscono dentro i buchi neri e nell'Oceano Indiano quasi seimila specie di pesci si affollano mentre nel Mar Morto solo qualche Archeobatterio alofilo fa compagnia a qualche Eubatterio a sua volta alofilo.
Abbiamo poi appreso con sollievo che i neutrini non corrono più veloci della luce come qualcuno pretendeva di sostenere e ci fa un piacere assurdo non dover prendere a martellate il cemento amato del nostro sapere di scuola.
È certo anche che ci sono a spaglio un po' ovunque malesorti: mangiar polvere e acqua e nell'acqua morire, Mare Nostrum, mostruoso passare e andare senza lasciare tracce. Anche questo ci raccontano, e vuol farsi strada dentro di noi, ci arriva da tutte le parti, in carta e in onda, e come ci tormenta.
È un bel combattere per non piegarsi a questo che pretende di essere il nostro sapere quotidiano e così, coperti di vergogna, poter continuare a commettere la nostra vita, tutta preterintenzionale, sia chiaro. E chiediamo anche le attenuanti
.


Mariapia Veladiano

auroraageno
00domenica 6 maggio 2012 07:36

GIUDICARE



Mi piacerebbe pensare che mai mi capiterà di non fare quel che dovrei fare e invece non posso pensarlo perché so che è troppo facile qui alla finestra protetta del mio affaccio luminoso sulla piazza delle Erbe, pulita e senza uomini, bambini e donne in pericolo ma chissà se penserei gli stessi pensieri con il suolo che si apre e il mondo che si rovescia oppure semplicemente con l'anima squarciata da un'offesa che non immaginavo.
Eppure, penso, si deve credere che dobbiamo provare, e provare e provare e coltivare la fede che possiamo essere quel che dobbiamo, in nome dell'altro e perché pareti sottili, molto sottili ci dividono dalla vita e dalla morte di chi ci sta accanto. Eppure capisco che si può non farlo. Per nascondere una cosa, piccola cosa, o per paura o perché il mio spirito si è incagliato per un momento, solo un momento. E allora penso che bisogna non lasciar perdere nulla, punire certo per quel che offende la vita mia e di tutti, ma soprattutto capire e capire e capire come questo può capitare e coltivare un mondo in cui possa capitare poco, pochissimo. E penso che il mare di tremende parole che tutti i giorni diciamo, e di tempo che sprechiamo a dir male, ci può sommergere. Che il giudizio è la nostra morte anticipata
.



Mariapia Veladiano

Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 16:08.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com