Approfitto di un attimo di tranquillità per postare una mia relazione tenuta ad un incontro di dialogo interreligioso in linea con la mia idea e in linea con il mio comportamento nei riguardi di tutte le fedi. E’ un po’ lunga ma spero che vi faccia piacere leggerla. Per farla ho preso spunto dai testi di diversi teologi che citerò man mano in una nota bibliografica.
Molti si chiederanno perchè in questa sezione e la risposta è che probabilmente è la sezione in cui più si nota una incertezza nel voler affrontare seriamente il discorso "dialogo".
La convinzione abbastanza generalizzata nelle religioni che chi ricerca D-o con sincerità di cuore e adegua la propria vita a quanto ha scoperto circa l'Assoluto si salva, è la premessa di una convivenza pacifica e di un dialogo interreligioso. Non sempre corrisponde tuttavia a tale convincimento un giudizio positivo sulle varie espressioni reli¬giose, perché si ritiene vera solo la propria, con la possibilità di intolleranze e di rifiuti.
a) Ridefinizione dell'universalità
Il pensiero illuminista aveva trovato nella tolleranza una risposta al problema, con una radicale relativizzazione delle religioni fondate su rivelazioni particolari, in base all'unico criterio universale della razionalità, valore umano ritenuto valido per tutti gli uomini. Le religioni storiche non erano quindi che un pregevole mezzo per la gente semplice, ma dovevano essere ricondotte all'unica religione dell'umanità, rappresentata dall'istanza razionale etica. L'ultimo secolo ha dimostrato tuttavia la non percorribilità di tale proposta, sia per i limiti emersi nelle pretese universalistiche della filosofia e delle scienze, sia per 1'irriducibilità delle differenze che non si lasciano omologare dall'imperialismo ideologico della ragione. La convivenza umana richiede inoltre dai singoli un impegno attivo, che solo le religioni storiche sono in grado di fornire in modo universale ed incondizionato (KUNG H., Progetto per un’etica mondiale…, pp 73-77). Si impone pertanto, ai fini di una convivenza pacifica, una ridefinizione da parte delle religioni della propria universalità.
Per il singolo credente l'universalità della propria religione è un fatto irrinunciabile, appartenendo l'assolutezza della scelta all'essenza stessa della fede. Si deve tuttavia osservare che l'annuncio della verità del proprio D-o, non può avvenire se non nel confronto con altre immagini del divino e con altre pretese di verità e di salvezza. Si determina così la possibile chiusura nel proprio orizzonte particolare (integralismo) o della relativizzazione del proprio credo (sincretismo). Il superamento può avvenire solo se ciascuno è capace di andare oltre la semplice universalizzazione del proprio particolare, per trovare una verità e una universalità che è "oltre": «La religione pertanto diverrebbe universale nel movimento, mai compiuto e sempre da realizzare, di andare oltre se stessa. E questo perché la verità della religione è oltre la religione. In essa, nella sua particolarità, si annuncia una verità che essa non possiede, una verità che la supera» (BORTOLIN V., Le religioni tra affermazione della particolarità e apertura all’universalità, in Studia Patavina, nn 63-64, 2001). In altre parole si tratta di far proprio un concetto "inclusivo" di universalità, per cui si scopre che il proprio universo religioso non è estraneo a quello altrui ed anzi da quest'ultimo sollecitato ad allargare il proprio orizzonte. «In questo senso, più una religione va in profondità nella ricerca della propria verità, più è spinta ad andare oltre se stessa, riconoscendo così, anche se sempre dall'interno del proprio orizzonte, la verità delle altre religioni» (BORTOLIN V., Le religioni tra affermazione della particolarità e apertura all’universalità,…) . Ciò non è sincretismo, ma apertura, per cui il proprio particolare diventa luogo simbolico dell'universale presente nelle varie religioni. Le religioni poi, in quanto realtà umana, obbediscono a situazioni particolari, così da innervare la vita concreta, senza pretendere che tali inculturazioni siano definitive.
Si profila di conseguenza un necessario confronto fra le religioni per una continua loro purificazione e per una acquisizione sempre maggiore della propria universalità.
b) Il dialogo fra le religioni
Dialogo significa apertura reciproca senza costrizioni. Questa nuova categoria, caricatasi purtroppo di molti significati, anche spuri, ha avuto piena cittadinanza a partire dal Concilio Vaticano II. Paolo VI, nell'enciclica Ecclesiam suam (1964) tracciò di questa scelta le linee maestre durante lo svolgimento del Concilio, affermando che il concetto di dialogo andava depurato dai possibili equivoci: debolezza, irenismo, sincretismo. Egli disse che non era una moda del tempo, perché "nasceva dall'alto", cioè dal modo con il quale D-o aveva agito con l'umanità. Per questo egli affermò: «La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio».
Dialogo non è ricerca quindi dell'.unità ma confronto, aiuto reciproco ad essere credenti ciascuno nella propria religione; dialogo è aiuto a purificarci dagli elementi spuri che non centrano con la religione; dialogo è cammino verso 1'Assoluto che ci trascende; è spiritualità. È possibile questo? Nella dichiarazione conciliare Nostra aetate si afferma che i cristiani devono dialogare, affinché, «…rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana riconoscano, conservino e facciano progredire i beni spirituali e morali e i valori socio-culturali che si trovano in essi ». Jacob Neusner precisa che dialogo, come abbiamo detto, significa allargare il proprio orizzonte fino al punto da comprendere l'orizzonte altrui (NUESNER J., Parlare di pace, fare la guerra: il paradosso delle religioni, in Religioni in dialogo per la pace, Morcelliana, Brescia, 1991).
c) Prassi del dialogo
Ci chiediamo ora quali possano essere i presupposti concreti per un rapporto dialogico e quali le forme di dialogo fra le religioni. Le diversità, è bene precisarlo, creano nel primo impatto conflittualità. Esse vengono a scombinare le nostre sicurezze e possono creare conflitti. Questi tuttavia non sono solo distruttivi, ma possono diven¬tare strumento di crescita umana. Come è possibile superare la conflittualità e tra¬sformare le difficoltà in opportunità positive?
Presupposti del dialogo. Il dialogo presuppone una lunga educazione. In primo luogo richiede che si riconosca all'interlocutore lo "statuto teologico", cioè che si consideri il credente di altra fede ricercatore di D-o e della verità come noi, cioè in buona fede (ROSSANO P., Dialogo e annuncio. L’incontro con le grandi religioni, Paoline, Cinisello Balsamo, (Milano), 1993, p 207). In secondo luogo è indispensabile evitare lo spirito proselitista, cioè la tentazione di voler conquistare l'altro con ogni mezzo. Per il cristiano è D-o che si comunica nell'universo, nella storia e nella coscienza di ogni uomo, pur avvalendosi della nostra testimonianza e quindi è indispensabile credere che la parola e la verità si impongono da sole a chi ad esse si apre sinceramente. In terzo luogo dev'essere sempre tenuta presente l'azione dello Spirito Santo, in tutte le culture e le religioni. II cristiano è attento quindi ai percorsi dello Spirito, che dà a tutti la possibilità di venire a contatto con D-o, nel modo che solo D-o conosce .
Forme còncrete di dialogo. Ci chiediamo come sia possibile dialogare. C'è un dialogo della preghiera e un dialogo degli esperti. Più importante di questi è il dialogo della vita, nel quale ci si sforza di interpretare la storia e la quotidianità non materialisticamente ma sulla base del significato che esse hanno. In questo piano è possibile un confronto dialogico fra fedi diverse molto arricchente: pensiamo a come credenti di fedi diverse possano parlare delle vittime della guerra o interpretare il dolore dell'uomo, attingendo dalle rispettive religioni la spiegazione. Affinché questo dialogo si attui però è necessaria una viva coscienza della propria storicità, la capacità di ragionare in termini antropologici e non politici e di estendere la nostra analisi alla globalità delle persone e dei popoli. Aver coscienza della storicità significa non imprigionare D-o nei nostri schemi e sentirsi sempre alla ricerca della verità. Noi non viviamo già nella gloria e dobbiamo camminare ricercando continuamente la verità. Da ciò deriva la convinzione profonda che abbiamo sempre da imparare. Le religioni non possono poi identificarsi con le alternative politiche, perché non appartengono all’egemonia e al potere, essendo proposte di salvezza rivolte alle vittime e a chi le provoca. Esse non agiscono infine in forme giustizialistiche ma di conversione e mirano alla salvezza globale, cioè di tutti e di tutto.
Su questa base Hans Küng ha proposto ripetutamente un’etica universale delle religioni sui grandi problemi della sopravvivenza.
[Modificato da Teo60 16/03/2005 21.12]