LA PRIMA VOLTA - Nuova FF (la mia prima su HP!)

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Yogh-Sothoth
00mercoledì 22 ottobre 2003 17:53
Questi sono i primi tre capitoli della mia ff su HP, spero vi piacciano. Essa è attualmente un Work in progres quindi abbiate pazienza! (Posto, ovviamente, che la vogliate leggere[SM=g27813] )
Fatemi sapere che ne pensate! [SM=g27823]

LA PRIMA VOLTA

How many times must a man look up
Before he can see the sky?
Yes, 'n' how many ears must one man have
Before he can hear people cry?
Yes, 'n' how many deaths will it take till he knows
That too many people have died?
The answer, my friend, is blowin' in the wind,
The answer is blowin' in the wind.
(Bob Dylan – Blowin’ in the wind)


CAPITOLO 1° - IL VOLO
“Harry non puoi continuare a torturarti così!” Hermione proferì queste ultime parole quasi tra le lacrime.
Erano tornati ad Hogwards da poco più di due settimane; si era detta che una volta lì Harry avrebbe smesso di pensare a Sirius o almeno sarebbe riuscito a placare il suo dolore. Si era detta che una volta ritornati nel mondo magico, tra i suoi amici e con tutte le cose da fare e da affrontare per il nuovo anno, Harry sarebbe riuscito a metter da parte rimorsi e sensi di colpa. Quelli che lo facevano urlare nel cuore della notte destandolo da incubi che non voleva rivelare e che Dio solo sapeva quanto dovessero essere terribili. Si era detta che finalmente non gli avrebbe più visto quello sguardo vuoto e spento che sovente gli aleggiava sul volto anche durante il periodo che avevano trascorso tutti assieme nel nuovo quartier generale dell’Ordine della Fenice.
Persino Fred e Gorge, pur impegnandosi e dando fondo a tutto il loro repertorio di scherzi e trovate, erano riusciti a farlo ridere solo in qualche rara occasione ed ogni volta, subito dopo, un’impercettibile smorfia di dolore lo rabbuiava nuovamente, come se si sentisse colpevole per quel suo fugace momento di gioia. Hermione era giunta a domandarsi se, dopotutto, la scelta di Silente di rimandarlo ancora una volta a casa dai Dursley fosse stata giusta; il suo animo che già si rodeva e rimordeva per colpe vere o presunte, non avrebbe dovuto esser costretto a sopportare un’altra estate tra gente che lo detestava e non perdeva occasione per dimostraglielo. A che conclusioni l’avevano portato le solitarie riflessioni di due mesi sicuramente orribili? Di cos’altro si era voluto incolpare e quante notti non aveva dormito rimuginando e criticando le sue scelte?
Lei e Ron avevano fatto di tutto per non lasciarlo mai solo troppo a lungo, ma lui aveva preso l’abitudine di rispondere alle loro lettere con poche, laconiche, righe o spesso di non rispondere affatto e le volte che si potevano incontrare (era quasi sempre lei ad andarlo a trovare, in quanto Ron suscitava i bellicosi ricordi degli Zii di Harry) il suo umore era sempre tetro e irritabile. Alla fine, durante il periodo all’Ordine, erano finiti per gettargli uno sguardo ogni volta che gli si avvicinavano per capire se quel giorno fosse trattabile o, quantomeno, disposto a parlare. Come se ciò non fosse stato abbastanza, tutti i loro tentativi di farlo sfogare, di fargli esternare il suo dolore per poterlo vincere e superare erano miseramente falliti e l’argomento Sirius era diventato tabù per il resto dell’estate.
Quella sera tuttavia, Hermione non era riuscita più a trattenersi. Non riusciva a sopportare la visione dell’amico rannicchiato su una poltrona vicino al camino della sala comune, lo sguardo fisso sulla fiamma, il volto emaciato e gli occhi pesti. Si era alzata e, approfittando dell’assenza di altre persone nella stanza, aveva deciso che doveva affrontare il discorso. Doveva aiutarlo.
“Ti manca vero?” Aveva esordito così, sedendosi davanti a lui. “Che domanda cretina” si era subito rimproverata a voce alta “come se non si vedesse… Dovresti smettere di addolorarti per lui, sai? Dovresti cominciare a ricordare solamente i momenti felici che avete vissuto assieme. So che è difficile ma la sua morte non deve portarsi via anche te…” Harry non l’aveva degnata neppure di uno sguardo. La sua voce tremò parecchio quando proseguì “Non puoi continuare a torturarti così! Che ne è del nostro amico? Che fine ha fatto il ragazzo che conoscevamo?” Stava quasi singhiozzando, ma non poteva fermarsi. Sapeva che non avrebbe trovato di nuovo il coraggio per parlargli a quel modo. Alla fine esasperata dal suo mutismo e dalla sua indifferenza gli gridò “E’ MORTO, HARRY LO VUOI CAPIRE CHE SYRIUS E’ MORTO? NON TI SALUTERA’ PIU’ DA QUEL CAMINO! NON RIVEDRAI LI LA SUA TESTA! NON DEVI MARTORIARTI PER QUEL CHE GLI E’ SUCCESSO, NON SAREBBE DOVUTO VENIRE, COME GLI AVEVA DETTO SILENTE!” Le ultime parole ebbero sul ragazzo l’effetto di una scarica elettrica. Saltò giù dalla poltrona e avvicinandosi ad Hermione le disse in un tono insolitamente gelido “E’ questo che pensate tutti… Ecco che finalmente viene a galla! Finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di dirlo a voce alta!” Hermione era allibita dal cambiamento, Harry adesso si trovava a pochi centimetri da lei e gli sibilava le parole praticamente in faccia. “Non mi meraviglio che sia stata tu a farlo. Non l’hai mai sopportato. Non ti è mai stato simpatico!” “Harry ma.. ma.. cosa dici? Io…” si era rannicchiata nella sua sedia tentando di sottrarsi a quello sguardo così.. così… “folle” pensò. Intanto Harry stava continuando “Sirius era solo uno sciocco pallone gonfiato che si cacciava nei guai e non sapeva obbedire a gli ordini di quelli che gli volevano “bene”.. bene! Ah! E’ voluto andare a fare l’eroe non rispettando il volere dell’infallibile Silente e questa è la fine che si è meritata!” Un’orribile smorfia di rabbia gli distorceva ora il viso, i pugni erano serrati e uno stringeva con furia la bacchetta. Hermione adesso era veramente terrorizzata, non avrebbe mai e poi mai creduto che un giorno avrebbe dovuto temere che il suo migliore amico le facesse del male, il solo pensiero le risultava mostruosamente incredibile e sgradevole, eppure. “Harry smettila, mi... mi stai spaventando” tentò di protestare “nessuno ha detto che se l’è meritato o che è colpa tua. E’… è stato sempre… beh! Un po’ avventato, ecco! Ma se avesse dato retta al professor Silente e se anche tu gliene avessi data… ” non fece a tempo a finire la frase. “Silente!!!” le sibilò lui, così vicino che chi fosse entrato in quel momento avrebbe potuto credere che Harry stesse tentando di baciarla, le sue labbra quasi la sfioravano in quel momento “sai cosa ha fatto il tuo caro Silente? Ho meglio, cosa NON ha fatto? Si è solo dimenticato di dire all’interessato che sapeva benissimo cosa c’era dentro quella fottutissima stanza del ministero che continuavo a sognare e che sapeva altrettanto bene che Voldemort non cercava un arma ma la profezia e che per averla aveva bisogno di portarmi li! Oh ma il sommo Silente è infallibile, vero Hermione? Perché spiegare a un piccolo sciocco come me i piani di Voldemort?” Hermione era sconvolta da queste rivelazioni che non riusciva a comprendere appieno e tuttavia con un filo di voce replicò “Lui.. lui l’ha fatto perché ti vuole bene! Sono sicura che voleva proteggerti!” Harry scoppio a ridere e la risata era fredda e terribile “Proteggermi???” le disse “tacendomi tutte le informazioni che mi avrebbero fatto capire cosa non dovevo fare? E così che protegge chi ama, Silente? Mandandoli soli allo sbaraglio senza dare spiegazioni a menti inferiori???” la voce adesso era quasi isterica “Mandandoli soli e ciechi perché lui è troppo indaffarato per prestar attenzione agli sciocchi che gli penzolano attorno??? Infondo Tom non si sbagliava. Sono queste le armi di Silente?!? E, sentiamo come sta proteggendo te adesso??? Come protegge te che hai ancora così fiducia in lui?!? Dov’è quando qualcuno ha bisogno di lui?!?” Così dicendo protese la bacchetta verso di lei, fece un passo indietro è gridò con tutto il fiato che aveva in corpo “FAMMI VEDERE COME TI PROTEGGE SILENTE! STUPEFY!!!” Gli istanti che precedettero il colpo parvero ad Hermione durare un’eternità. Non poteva, non voleva crederci! Il ragazzo di fronte a lei non poteva essere il loro Harry! Lui non l’avrebbe mai aggredita… non poteva essere così! Ma in quel momento l’incantesimo le arrivò in pieno petto facendola volare all’indietro e ribaltando la sedia. Hermione gridò e volò fino all’altra estremità della stanza dove sbatté con forza contro il muro e si accasciò al suolo senza emettere più alcun suono. Piccole macchie di sangue avevano imbrattato il muro la dove v’era stato l’impatto ed altre sporcavano le tende li nei pressi.
Harry era rimasto perfettamente immobile nel contemplare tutta la scena e quando i ragazzi e le ragazze del Grifondoro accorsero dai loro dormitori per vedere cosa fossero quei rumori e quelle grida lo trovarono ancora con la bacchetta puntata. Li per lì si chiesero, perplessi, con chi avesse mai potuto lottare nella loro sala comune, poi notarono il corpo di Hermione che giaceva a terra nell’angolo più lontano della stanza . Alcune ragazze gridarono mentre dei ragazzi del settimo anno lo strinsero ad un muro e gli sfilarono rapidamente la bacchetta immobilizzandolo, altri andarono a chiamare la professoressa McGrannit e Madama Chips. Ad un certo punto, fra la folla che si era radunata, si fece largo a fatica Ron. “Harry, Harry, cosa è successo? Chi… chi è stato?” neanche lui riusciva a credere che fosse stato Harry a colpire Hermione. “Harry, mi senti?? Che… che hai fatto??” Harry senza distogliere lo sguardo dal corpo inerte della ragazza disse semplicemente “L’ho uccisa.”



CAPITOLO 2° - DOLORE

Solo. Ancora una volta da solo e nei guai. E questa volta il pericolo era enorme e non lo si poteva fuggire, perché esso albergava dentro di lui. Era qualcosa che gli era cresciuto dentro, divorando la sua anima e rischiando di renderlo folle. Le prime sere, con ancora impresso il ricordo di tutti i suoi amici schierati al suo fianco per fronteggiare assieme i Dursley, si era illuso di poter fuggire, si era inebriato dell’effimera gioia di un’estate migliore, più libera. Ma il sogno s’era presto dissolto e la cosa che era dentro di lui gli comunicò che non se n’era affatto andata e che ora, dopo il breve riposo, aveva intenzione di consumarlo del tutto. Quella cosa aveva anche un nome, a dire il vero ne aveva parecchi, taluni la chiamavano rimorso, altri senso di colpa, altri ancora rimpianto; ma quelli erano appellativi che fuggivano la sua vera essenza. Harry lo sapeva, aveva imparato a conoscerla e per questo la chiamava Dolore.
Il dolore di aver causato la morte del suo padrino, il dolore di essere la causa della morte dei suoi genitori e quella di Cedric, il dolore di un esistenza trascorsa con un’invisibile condanna a pendergli sul capo. La notte, nel buio del suo letto, sentiva riecheggiare le parole di Sibilla Coman e della sua terribile profezia; volteggiavano attorno a lui e gli martellavano il cervello ripetendosi ed intrecciandosi all’infinito come una perversa nenia mentre volti morti e deformati dalla paura e dalla corruzione gli balenavano davanti agli occhi che teneva sbarrati nel vano tentativo di scacciare quelle immagini. Allora si destava urlando per quelle visioni, perché lui riconosceva quei visi, conosceva le persone a cui erano appartenuti ed essi erano un monito per il suo intelletto che vacillava, agonizzante, nell’oscurità dell’incubo. Sapeva che essi lo guardavano attraverso orbite vuote la cui unica presenza di vita era testimoniata dai vermi che ogni tanto facevano capolino, sapeva cosa volevano dirgli. Era lui la causa delle loro morti. Suo padre, sua madre, Sirius e Cedric, ogni notte quando le ombre strisciavano lungo i muri e fuori dalla finestra, lo attorniavano, inchiodandolo senza scampo nel suo giaciglio.
Di giorno era lui stesso a rinnovarsi le accuse al tribunale della sua coscienza, due volte presente come imputato e giudice, si dichiarava sempre colpevole e la sua sentenza era sempre e soltanto una. Ironicamente quel verdetto era lo stesso che già da anni, seppur in forma diversa, gli era stato assegnato a sua insaputa. Non vedeva speranza, infatti, nell’altra faccia del suo destino “E chi ne vedrebbe?” si chiedeva. “Sconfiggere il Signore Oscuro quando persino Silente non vi riesce…” Il pensiero del preside lo fece stare ancor più male. Non gli aveva affatto perdonato il comportamento dell’anno scorso anzi, se in un primo momento si era lasciato imbonire dalle parole dell’uomo, adesso si rammaricava di non aver fatto quello che Silente stesso si aspettava. Avrebbe desiderato attaccarlo, avrebbe desiderato punirlo, ferirlo per quello che considerava un tradimento alla sua fiducia. Più volte si era scoperto a ripensare con indulgenza, quasi riassaporando, il momento durante il quale Voldemort aveva tentato di aizzarlo contro Silente; aveva sentito, per la prima volta dentro di se, fluire un potere inaspettato, dirompente, la forza e la furia del serpente che poco prima aveva sognato di essere.
Non riusciva a trovare una sola buona ragione per cui non gli avessero dovuto spiegare ciò che gli succedeva, non trovava scuse al loro comportamento, ne gliene avrebbe concesse così come non ne concedeva a se stesso. Una volta di più tornò a pensare che solo Sirius aveva voluto rivelargli qualcosa, che solo lui aveva capito che era nel suo interesse sapere, non solo, che era un suo diritto questa conoscenza. “Chi più di me avrebbe dovuto essere informato della mia condanna?” era così, difatti, che aveva preso a definire la profezia, essa era e sarebbe stata la sua condanna.
“Lui voleva dirmi tutto, anche se probabilmente neppure lui sapeva come stavano le cose esattamente, d’altronde, nemmeno di lui si fidavano” un nero sentimento di rancore nei confronti di tutti quelli che aveva considerato amici si gonfiò a questi pensieri. “Anche loro sono colpevoli, ma se loro possono spartirsi le colpe nei miei confronti, sono io che lo ucciso. Sono io la peggior sciagura per me stesso… Quanti altri dovranno morire prima che Voldemort compia i suoi piani? C’è abbastanza spazio sulle mie spalle per reggere il peso di altri martiri per mio conto?” Non lo credeva possibile. Ne tuttavia riusciva ad aiutare la sorte affrettando per lei i tempi. Si struggeva nel dolore dei suoi morti ma non trovava il coraggio di raggiungerli, ne per sua mano ne per quella del Signore Oscuro.
I giorni passavano, uguali gli uni a gli altri, caldi e tediosi nel nulla che incombeva sulle loro vite. Niente pareva voler o poter mutare a casa Dursley. Nulla tranne lui. Harry era cambiato se ne accorgeva lui stesso; adesso a chi osasse avvicinarlo, sia a casa che fuori, lanciava occhiate infuocate e cariche di odio; perfino i Dursley avevano iniziato a tenersi alla larga da lui fin tanto che fosse possibile. Una sera udì per caso un brandello di conversazione tra i suoi zii “Ti dico, Petunia, che quel ragazzo ha qualcosa che non mi piace!” aveva detto Vernon “Oh caro, ma questo lo sappiamo benissimo…” “Sì ma non mi riferisco solo alla sua… anormalità, gli devono aver fatto qualcosa in quel posto dove si ritrova con tutti quegli svitati! A volte ha uno sguardo davvero… FOLLE!” aveva esitato come temesse o intuisse di poter esser sentito, poi aveva aggiunto in sussurro “Credo voglia ucciderci…” Harry non aveva ascoltato più, le ultime parole di suo zio l’avevano turbato. Certo, loro avevano sempre temuto la magia e tutto ciò che comportava il suo mondo, ma non si sarebbe mai sognato di vederli terrorizzati da lui e dalla sua sola presenza, ne tanto meno che temessero per la propria vita! Per un attimo dimenticò i suoi rancori e la sua sofferenza, desiderò entrare nella stanza e poter urlargli se fossero impazziti, come si potevano immaginare una cosa così abominevole da parte sua! Desiderò che si rimangiassero tutto, desiderò poter costringerli a non temere lui, a capire che il pericolo era fuori da quelle mura e loro bellamente lo ignoravano. Vivevano protetti ma non lo sapevano, erano sorvegliati ma lo dimenticavano. Non poteva sopportarlo, come facevano ad esser tanto sciocchi? Avrebbe desiderato poter usare la sua bacchetta per inculcargli a viva forza il buon senso! All’improvviso si avvide del senso del suo proposito “Mio Dio” pensò “a viva forza?”



CAPITOLO 3° – L’ISOLA NELL’OCEANO NERO

Erano passati alcuni giorni da quando Harry era stato partecipe di quella discussione. L’ipotesi che stesse impazzendo, che lui stesso si era prospettato centinaia di volte, non gli era mai parsa così reale e plausibile come sentendola pronunziare da qualcun altro. Piano, piano essa si era fatta strada fra i suoi funesti pensieri e rosicchiando come un tarlo silenzioso ed incessabile, aveva preso sempre maggior forza. Ogni tanto si diceva che non era possibile che stesse impazzendo, in fondo, lui ragionava! Ma la vocina che cresceva dentro la sua testa gli rispondeva, melliflua, che sicuramente anche i pazzi ragionano… a modo loro. Scosse la testa come a scrollarsi di dosso quelle insinuazioni. Era stato troppo al chiuso. Decise che riprendere le sue passeggiate, per quanto solitarie e malinconiche fossero, gli avrebbe fatto sicuramente bene, l’avrebbe aiutato a distrarsi e a far tacere tutte le voci che affollavano chiassose il suo cervello, sbeffeggiandolo, accusandolo, dandogli del pazzo o dell’assassino.
Aprì l’armadio, tirò fuori dei logori abiti, “da passeggio” come amava chiamarli, si cambiò e corse giù per le scale. I Dursley ignorarono ostentatamente ogni sua mossa. Appena fu fuori dal giardino, si accorse di non poter sopportare le occhiatacce cariche di disprezzo che i vicini spedivano al suo indirizzo ogni volta che lo incrociavano. Di disprezzo verso di se ne aveva già abbastanza di suo e infastidito da quello altrui rientrò a casa. Aveva deciso che avrebbe posticipato la sua uscita, ma solo di qualche ora. Avrebbe aspettato che fosse calata l’oscurità ad avvolgerlo e proteggerlo da tutti quegli inutili babbani. Almeno quella notte non l’avrebbe trascorsa in compagnia dei suoi soliti incubi.
Quando fu quasi ora di cena scese in cucina, aprì il frigo, si preparò un panino che consumò in fretta malgrado lo scarso appetito ed uscì per strada. Il libero accesso al frigo era una delle novità instaurate dopo i “suggerimenti” di Malocchio ai Dursley; Harry comunque non se ne curava, in quel periodo aveva mangiato poco e agli orari più strani, spesso digiunando per giorni finché non erano i crampi stessi della fame, acutissimi ed improrogabili, a ricordargli l’esistenza del cibo.
La notte si stava facendo vecchia ed Harry ancora vagava senza meta per le vie deserte. Aveva creduto di aver lasciato gli incubi ad attenderlo inutilmente nella sua camera, ma questi l’avevano seguito strisciando e si erano nutriti dell’oscurità crescendo e facendosi ancor più reali e raccapriccianti. Poteva sentire le loro voci chiamarlo dagli angoli più scuri, sentiva il lezzo dei corpi in decomposizione, percepiva esseri muoversi furtivi ai margini del suo campo visivo. Dalle pozze di luce dei lampioni emergevano corpi orrendamente sventrati e mutilati che avrebbero dovuto essere inequivocabilmente morti e che tuttavia erano innaturalmente vivi e ghignavano e si contorcevano producendo orribili rumori liquidi mentre spargevano intorno grumi di sangue rappreso e brandelli delle loro interiora. Su tutto l’inquietante sensazione di essere braccato, che qualcosa di mortale fosse sulle sue tracce, qualcosa la cui sola vista gli avrebbe annientato la ragione. Sentiva la sua presenza, poteva intuirne il rumore dei passi, sempre più vicini. Smise di ascoltare, di pesare o di controllarsi, in preda al terrore cominciò a correre, per fuggire l’orrore, per seminare gl’incubi. Corse fino a non aver più fiato, corse finche non sentì il cuore che gli scoppiava nel petto, corse e poi stramazzò al suolo, esausto.
Ora udiva solo il suo respiro, affannoso ed irregolare. Lasciò trascorrere così un po’ di tempo; poi si rialzò e volse lo sguardo attorno per capire dove fosse. Si rese conto che le sue gambe l’avevano condotto al parco dove era solito recarsi l’estate precedente nelle interminabili serate spese in attesa di notizie. Non si preoccupava più di ciò, le notizie, buone o cattive che fossero, non avevano più alcuna attrattiva su di lui; la sola notizia che l’interessava la conosceva già e ciò che di essa ignorava, ovvero il quando, certo non l’avrebbe appreso da un giornale o da una lettera.
Stava riprendendo ancora fiato, allorché qualcosa colpì la sua attenzione, qualcosa di fuori posto nel parco, qualcosa di sbagliato, un incrinatura impercettibile nella canonica immagine del luogo. Non riusciva a focalizzare cosa fosse eppure era certo che era evidente nella sua assurda stonatura. D’improvviso la vide. L’altalena si muoveva da sola.
“Di cosa hai paura Harry? Non hai forse visto un sacco di cose muoversi da sole ad Hogwards?” Parlava a se stesso per mettere a tacere l’urlo che sentiva nelle sue orecchie, per placare l’irrazionale istinto che gli suggeriva di andar via di li, che quella non era magia ma qualcosa di più antico e più terribile. Tuttavia, non riusciva a fermarsi, si sentiva irresistibilmente attratto verso quella direzione e mentre si avvicinava notò dell’altro, sull’altalena c’era una bambina. “Dopotutto non si muoveva sola… ma come ho fatto a non vederla prima?” Poi, rivolto alla figura sull’altalena, aggiunse a voce più alta “Ehi, piccolina! Che fai qui da sola a quest’ora? Non dovresti essere a casa? I tuoi saranno preoccupati!” Lei non parve averlo udito, ne essersi accorta della sua presenza. Harry osservò che indossava un abito tutto bianco buffamente ricamato con un piccolo nastro nero che le cingeva la vita annodandosi in un complicato fiocco mentre il viso era parzialmente nascosto da un gran groviglio di capelli castani. D’un tratto prese a parlare e la sua voce era strana, pareva non provenire da quel luogo e ciò nonostante sembrava familiare “Credi che sia la luce la condizione naturale del mondo?” si esprimeva come per se stessa, senza curarsi dell’esistenza del ragazzo “Queste sono solo illusioni degli uomini. La luce non è che un attenuarsi dell’ombra, dell’ombra che mai svanisce del tutto e che sempre segue i nostri passi ridendo, beffarda, delle nostre dissennate credenze. Sei mai riuscita a correre più veloce della tua ombra? Hai mai seminato la figura nera che ti scorta da presso? Il giorno è una pausa tra la notte eterna così come i soli e le stelle sono semplici puntini nella fredda tenebra cosmica. Ci siamo arroccati in un’isola di luce e la chiamiamo continente pur sapendo che essa è circondata dall’immenso oceano nero” In quel mentre uno sconvolgente cambiamento si adoperò nella bambina; ciocche di capelli iniziarono a staccarsi dalla sua testa, mentre le mani, che teneva raccolte in grembo, andavano rinsecchendosi avvizzendo. Cominciò a scarnificarsi, lasciando scoperti in più punti le ossa, gli occhi sprofondarono dentro le orbite e i lineamenti si sciolsero colando via da quello che era ormai un teschio. In fine i miseri resti piombarono a terra riducendosi in polvere. Harry, orripilato, fece alcuni passi indietreggiando ma inciampò e perse l’equilibrio, cadendo e battendo la testa.
Yogh-Sothoth
00mercoledì 22 ottobre 2003 18:05
Precisazione
L'ultima frase è la mia firma non un pezzo di storia!
Tanto per precisare...[SM=g27828]
~¤Lovely Angel¤~
00giovedì 23 ottobre 2003 01:26
L'ho letta proprio poco fa su fanfiction.it*____*
O_________O Mio Dio. E' una delle più belle fanfic che ho letto. Non so davvero che dire, sono senza parole, scrivi BENISSIMO. E' meravigliosa[SM=g27836] [SM=g27836] [SM=g27836] [SM=g27836] [SM=g27836] [SM=g27836] aspetto il seguitooooo
Yogh-Sothoth
00giovedì 23 ottobre 2003 01:36
Re:
TNKS!!![SM=g27821] [SM=g27821]

E a dire il vero ho finito altri due capitoli! Che provvedo ad inserie. [SM=g27828]
Yogh-Sothoth
00giovedì 23 ottobre 2003 01:38
NUOVI CAPITOLI: 4° e 5°
CAPITOLO 4° - OSPITI

Fu un cane a destarlo, leccandogli una mano. Per qualche secondo ebbe l’illogica convinzione che quello fosse il suo padrino che si era trasformato per cercarlo, preoccupato per la sua assenza notturna. Poi via, via che riacquistava coscienza di se, anche i ricordi riaffiorarono e mise a fuoco l’animale, rendendosi conto che era solamente un piccolo randagio a pelo nero.
Si mise a sedere, massaggiandosi la testa che ancora doleva per via della caduta, e cercò di capire se davvero avesse visto tutto ciò che ricordava della notte appena trascorsa. Frattanto il cane, che doveva essere poco più di un cucciolo, gli saltellava attorno scodinzolando. Harry si sentiva debole e scosso, non riusciva a rendersi conto di ciò che credeva aver osservato o sognato o… Non sapeva neanche lui cosa avesse fatto di preciso. Racimolando le forze si alzò in piedi, tentando adesso di stabilire che ora fosse; certo doveva essere ancora presto, poiché il sole era basso e le strade attorno al parco piuttosto tranquille. L’altalena era tuttora davanti a lui, al momento perfettamente immobile e deserta eccezion fatta per un piccolo oggetto nero che penzolava da un suo angolo. Si avvicinò e lo raccolse. Non gli fu necessario alcuno sforzo per capire cosa fosse: era indubbiamente il nastro nero che indossava la bambina. Un brivido gli percorse la schiena, si sentiva a disagio con quel pezzo di stoffa in mano. Era dunque vera quella parte dei suoi ricordi? Possibile che lo fosse? Ancora una volta fu il cagnolino a riscuoterlo, abbaiando allegramente mentre si allontanava. “Ok! Basta così, sarà meglio andar via” e s’avviò verso casa infilandosi in tasca la fascia senza neppure rendersene conto.
Appena dentro, corse subito in bagno a lavarsi; sentiva l’impellente bisogno di sciacquar via ogni memoria di quella notte orribile, ma più desiderava allontanarsi da quei ricordi, più essi lo raggiungevano assalendolo e sgomentandolo. Era dunque definitivamente impazzito? L’ipotesi era angosciante ma l’alternativa era troppo fuori di ogni umana comprensione. Ammettere che tutto quello fosse stato vero significava sovvertire le regole stesse dell’esistenza, non poteva essere. L’eventualità che fosse Voldemort ad inculcargli quelle visioni non la riteneva probabile, per quanto l’avrebbe senz’altro apprezzata maggiormente come spiegazione razionale, dato che la cicatrice non gli doleva più del solito. Harry era conscio del fatto che quel dolore era semplicemente la testimonianza del ritorno del Signore Oscuro e che se tra loro due si fosse stabilito un contatto mentale la sofferenza sarebbe stata molto maggiore. Finita la doccia indossò dei vestiti puliti e si mise a sedere sul bordo del letto. Aveva paura a chiudere gli occhi. Aveva paura di ciò che avrebbe potuto vedere.
“RAGAZZO! EHI TU! Scendi dalla tua tana! HAI VISITE!” si era quasi appisolato allorché il brusco richiamo di zio Vernon lo riportò alla realtà. “Visite? IO?” gridò di rimando. Chi poteva venire a trovarlo? “Sì, tu! Sei sordo oltre che scemo?” Dal tono sgarbato di suo zio era chiaro che la visita fosse davvero per lui e che per questo fosse assolutamente sgradita. Si sorprese a pensare che, per una volta, sarebbe stato felice se i Dursley avessero semplicemente messo alla porta l’ospite; chiunque esso fosse non desiderava visite. Era stanco degli altri, era stanco dei loro giudizi, dei loro consigli e delle loro frasi fatte, di sentirsi sempre come sotto esame; era stanco dell’umanità intera. Stava quasi per dire a suo zio di mandarli via quando una voce interruppe i suoi propositi “Allora Harry mi apri o hai intenzione di barricarti dentro?” la voce proveniva da dietro la sua porta, era dunque troppo tardi per poter manda via l’ospite. “Avanti, è aperto” non aveva trovato neppure la voglia per alzarsi. Dopotutto non era un visitatore, ma una visitatrice.
“Hermione!” esclamò il ragazzo, piuttosto sorpreso “Non avevo riconosciuto la tua voce. Che ci fai qui?” “Mah… ricordavo che da queste parti abitava una persona che conoscevo, ma forse mi sbagliavo, dato che non risponde più alle lettere e non mi riconosce quando gli parlo…” la ragazza parlava gaiamente, ma si notava che era molto preoccupata per le condizioni dell’amico. Il silenzio che seguì fu interrotto da Hermione che, abbandonato il tono allegro, sembrava delusa della fredda accoglienza “Allora signor Harry Potter, ha intenzione di alzarsi da quel letto e salutarmi come si deve?” solo allora Harry si rese conto che era ancora sul bordo del letto e che non aveva nemmeno detto “ciao” all’amica. Si alzò di scatto come se d’improvviso il letto avesse preso a bruciare e stava per proferire qualche parola di benvenuto, allorché lei gli butto le braccia al collo abbracciandolo. “Harry come ti sei ridotto? Guardati! Hai un aspetto da far spavento! Sei magrissimo!” lo travolse prima che potesse dire qualsiasi cosa “non ti puoi lasciare andare così!” “Hermione, se sei venuta a farmi la predica sai dov’è la porta! Sono stanco e non ho intenzione di sentire le tue critiche” e mentre diceva ciò l’allontanò da se bruscamente. Lei parve sul punto di offendersi o, peggio, di scoppiare a piangere ma poi gli sorrise “Scusami. Ma io non voglio criticarti e lo sai! E che sono preoccupata per te” “Bene, allora smettila di preoccuparti e facciamola finita. Cosa volevi?” rispose lui, secco. Hermione lo guardò un po’, apparentemente perplessa, quindi gli disse, scegliendo con cura le parole “Beh, pensavo che ti avrebbe fatto piacere passare una giornata…” “Ah, sì va bene” la interrupe di nuovo. Lo trovava irritante, dover stare tutto il giorno con Hermione e probabilmente dover sentire ripetere le sue ramanzine più e più volte. Accidenti ma perché non era venuto Ron anziché lei? Lui almeno capiva quando era il caso di chiudere il becco. “Come mai Ron non è venuto?” “Sai, abbiamo pensato che dopo le vicende dell’anno scorso, non era il caso che lui venisse qui dai Dursley ” Harry si imitò a borbottare una specie di grugnito d’assenso per nulla soddisfatto dell’assenza dell’amico. Ad un certo punto gli sovvenne un pensiero: dove avrebbero pranzato? Certo i Dursley non si sarebbero presi il disturbo di invitare la sua amica a pranzo e sebbene lui potesse disporre della cucina non sapeva affatto cucinare e in ogni caso non ne aveva voglia. Andare fuori non era nemmeno possibile, dato che, come al solito, aveva con se solo qualche spicciolo in monete magiche. “Che diavolo sei venuta a fare Hermione? Perché non sei andata a studiare qualche tonnellata di libri? Come se non avessi già i miei problemi…” a voce alta, invece, disse semplicemente “Ecco, stavo pensando che per il pranzo… cioè… i miei zii…” Hermione lo fermò in tono sbrigativo “Non preoccuparti, capisco perfettamente la situazione ed ho già pensato a tutto” questa era una cosa tipica di lei, pensò Harry, lei faceva sempre i suoi piani per tempo. “Offro io” disse, e sembrava alquanto divertita all’idea “sarà sufficiente andare in un qualche fast-food qui vicino. Ce ne devono essere no?” “Sì, certo” rispose, senza celare lo scarso entusiasmo.
“Perfetto! Allora Harry, non hai risposto più alle mie lettere, perché? L’anno scorso non facevi che lamentarti di come non ti dicevamo nulla ed ora non ci rispondi?” “Ho avuto da fare…” “Harry non puoi credere di darmela a bere. So benissimo in cosa consiste il tuo da fare: rimproverarti di ciò che è successo a Sirius” replicò lei dolcemente, sapeva che era un argomento delicato. “Smettila. Non voglio parlare di questo. E’ una mia faccenda privata e tu non puoi capire come ci si senta. Smettila d’impicciarti, te l’ho già detto!” non riusciva ad evitare di esser sgarbato, proprio non sopportava queste intrusioni; desiderava ardentemente che se ne andasse. “Ma ti farebbe bene parlarne…” “NO!” ringhiò lui di rimando. “E va bene. Come vuoi tu. Allora come hai passato l’estate?” “Benissimo. Ero da solo…” rispose con studiata ironia. Hermione decise d’ignorarlo “A che punto sei con i compiti? Io li ho finiti e se vuoi posso aiutarti già che sono qui” Harry la guardò come se stesse proferendo la più grande delle eresie, come poteva credere che avesse anche solo immaginato l’esistenza dei “compiti”? “No, non li ho fatti; non li ricordavo neppure prima che li nominassi e comunque non voglio il tuo aiuto” “Invece avresti fatto bene a farli! Ti avrebbero distratto” “Oh, che bella distrazione, come ho fatto a non pensarci?” sentiva l’acidità delle sue risposte ma non poteva farci niente, non la voleva più fra i piedi, non voleva nessuno, desiderava semplicemente rimaner solo. Lei sospirò “D’accordo. Cosa vuoi fare allora?” “Prima che arrivassi stavo per addormentarmi” “A quest’ora?” “Beh? Non sono riuscito a prender sonno questa notte” “Come mai? Non stavi bene?” chiese Hermione, seriamente preoccupata. “Sei anche dottore adesso? O è nel tuo stile fare un interrogatorio alle persone?” poi aggiunse sbuffando “se proprio ci tieni ho avuto un incubo, soddisfatta?” ci furono altri attimi di silenzio “Vuoi che me ne vada? Se ti do fastidio basta che tu lo dica” c’era irritazione in queste parole ma soprattutto c’era un profondo dispiacere “Pensavo saresti stato felice di avere un’amica con cui parlare…” “A quanto pare non sai sempre tutto, Hermione” sapeva che aveva ferito i suoi sentimenti e con una punta di stupore notò che ne era felice. “In questo caso, non disturbarti ad indicarmi anche il telefono. Ho il cellulare di mia madre” “Anche volendo, avrei potuto al massimo indicarti una cabina, i Dursley non ti avrebbero fatto telefonare” puntualizzò lui soddisfatto. “Per fortuna che sono rimasti in zona, così posso toglierti il disturbo della mia presenza al più presto” “Ecco una buona notizia!” questo fu veramente troppo per Hermione che aveva fin ora sopportato coraggiosamente le battute dell’amico, si alzò dalla sedia dove si era sistemata, e uscì di casa. Harry potè notare che piangeva.





But I know a place where we can go
That's still untouched by men
We'll sit and watch the clouds roll by
And the tall grass wave in the wind
You can lay your head back on the ground
And let your hair fall all around me
Offer up your best defense
But this is the end
This is the end of the innocence
(Bob Dylan – The end of innocence)



CAPITOLO 5° - IL SERVO DEL MARE CORROTTO

Dapprima fu molto contento di essersi sbarazzato di Hermione. Pensava, in tutta sincerità, che almeno così lei avrebbe smesso anche di scrivere e di tormentarlo con le sue stupide domande. Lo trovava interessante da studiare, come uno dei suoi sciocchi trattati di Aritmanzia, o forse tentava di psicanalizzarlo? Che bella pensata, venire lì a fargli una seduta terapeutica! Doveva ritenersi fortunata ad aver capito che era indesiderata e ad andarsene; se fosse rimasta ancora un altro po’ a tartassarlo di domante, non avrebbe risposto più delle sue azioni. Magia o non magia, l’avrebbe scaraventata dalla finestra. Un odio rancido ed irragionevole l’aveva invaso, e si era riversato sull’unica persona che avesse osato tentare d’infrangere il forte dentro il quale si era rifugiato, in compagnia dei suoi tormenti. Pensava di poter esser sempre lei a sbrogliare i suoi sentimenti? Come poteva presumere una cosa del genere e chi gliene dava il diritto?
Tentò di rilassarsi. Cosa gli stava succedendo? Era già la seconda volta che gli capitava di desiderare ardentemente di usare violenza contro delle persone. “Buttarla giù dalla finestra solo perché si disperava per aiutarmi? Sono davvero così spregevole?” Non ebbe il coraggio di rispondersi.
Doveva fare ammenda. Aprì il suo baule e prese l’inchiostro, la penna e un bel rotolo di pergamena che spianò sulla piccola scrivana. Rimase parecchi minuti a fissarlo, temendo che quella pagina che continuava a restare ostinatamente vuota, fosse la più grave denuncia ai suo sentimenti. Alla fine decise che, se anche le parole non sgorgavano spontanee dal cuore, le avrebbe stillate dal cervello. Intinse la penna e principiò a scrivere.

Cara Hermione,
ti prego di scusarmi per il mio comportamento di questa mattina. Sono stato crudele. Ti prego di credere che non volevo farlo.

“Già” pensò, interrompendosi “credici almeno tu, Hermione, perché io so benissimo che volevo farlo. Dannazione e ci mancherebbe! Mi piombi in casa e giochi a fare la santa inquisizione!” respirò profondamente, facendo defluire la collera che rischiava di tracimare ancora una volta “Smettila Harry! Concentrati, vuoi chiederle scusa o continuare ad offenderla?” riprese.

Devi capire che per me è stato un brutto periodo e giusto la notte scorsa… Beh, diciamo che gl’incubi mi hanno preso un po’ la mano.

“Un po’ preso la mano? Che bella frase! Dì pure che ti hanno tirato dentro in un ballo a due con la morte. Merda! Scrivi Harry, scrivi!”

Quindi ero già abbastanza nervoso e stanco quando sei arrivata e non sono riuscito ad apprezzare il tuo gesto, scuramente peno di buone intenzioni. Per questo, ti chiedo di perdonarmi e dimenticare l’accaduto, del quale sono sinceramente pentito.

“Del quale VORREI essere pentito” constatò con amarezza “perché non lo sono? Ho umiliato la mia migliore amica, l’ho quasi insultata e non riesco a sentirmi in colpa per questo, dannazione, perché?” Facendo forza a se stesso firmò la lettera. Aspettò qualche secondo, affinché l’inchiostro fosse ben asciutto, l’arrotolò e, dopo aver fatto uscire Edvige dalla sua gabbia, legò il rotolo alla zampa della civetta. “Su bella, portala da Hermione e aspetta che ti scriva una risposta” detto questo aprì la finestra e fece volar via l’animale. Adesso si sentiva davvero stremato; non riusciva a reggersi in piedi, come se scrivere quella lettera gli fosse costato le sue ultime energie e probabilmente così era. Si diresse barcollando verso il letto e stavolta ci si buttò sopra senza preoccuparsi di svestirsi o di quali incubi lo stessero attendendo poco sotto la soglia della coscienza.
Non erano passati che pochi secondi, da quando aveva poggiato il capo sul cuscino, che già dormiva. Non erano passati che pochi secondi, che già gl’incubi l’avevano trovato. Famelici ed insaziabili, avevano aspettato che tornasse da loro, non avevano fretta: il tempo era dalla loro parte.
La prima cosa che vide fu il mare. Un immenso mare, nero come la morte senza speranza, che spumeggiava burrascoso, smarrendosi e sfumando verso l’infinito. Onde s’infrangevano fra loro, mentre uccelli deformi, scuri anch’essi, volteggiavano nell’aria stagliandosi contro un cielo vermiglio e alieno. Brune nubi striavano quel rosso e il vento, che rapidamente le spazzava scindendole e ricreandole in forme nuove e assurde, gemeva con la voce della distruzione; un angoscio urlo di sofferenza senza posa, di supplizio che non conosce requie. L’acqua stessa si presentava malsana, nell’oscurità che la componeva, singolari figure mostravano il loro sembiante comparendo e dissipandosi e ricombinandosi di volta in volta.
In seguito si rese conto della barca sulla quale si trovava. Una piccola imbarcazione corvina, che sembrava sempre ad un passo dallo schiantarsi, soccombendo alla furia dei marosi e ciononostante procedeva, stabile e spedita, dritta davanti a se, tra i flutti che giganteggiavano elevandosi fin quasi a ricoprirli. La percezione successiva fu ancora più orribile. La sensazione che qualcosa di mostruoso lo stesse inseguendo un’altra volta, lo colpì ora con forza centuplicata, sopraffacendolo. Quella cosa era con lui sulla barca. Era dietro di lui. Si paralizzò, fu come se il cuore avesse smesso di battere, i polmoni si rifiutassero di inalare aria e il cervello di pensare.
“Harry Potter” la voce giungeva da dietro lui e nello stesso tempo da nessun luogo e dappertutto “Finalmente giungi a me per la porta dell’Incubo” udire quelle parole significava farsi trafiggere da migliaia di aculei roventi ”E’ da sempre che ti attendo, dacché nascesti e sin da quando tuo padre era solo un’infante e da prima ancora, allorché l’universo era giovane e il tuo mondo deserto. Attendo il tuo arrivo, come quello di tutto il resto, prima o poi” “Cosa sei? Sei la… la morte?” La risata che seguì era atroce “Io sono unicamente un navigante, amico mio. Un marinaio, un servo del mare corrotto e della terra senza nome. Sarò io a condurti nel regno dell’ombra, quando vorrai. Non ora, non qui; ma presto” Harry , che aveva mantenuto lo sguardo fisso davanti a se, poteva intuire adesso nell’estrema lontananza oltre la furia della tempesta, un immenso continente “Cosa significa? Cos’è il regno dell’ombra?” “Lo saprai, giovane compagno, lo saprai e sarai tu a decidere di valicare la soglia. Le ombre non ti seguono senza motivo, ricordalo” “Non capisco” si sforzò di dire “Non è importante che tu capisca, le risposte creano solo altri interrogativi. Ed ora, addio fino al nostro nuovo incontro”
Harry aprì gli occhi con un grido strozzato in gola, nell’incubo si era voltato e per un istante, aveva scorto il volto dell’essere.
Yogh-Sothoth
00sabato 25 ottobre 2003 20:26
SIGH!
*SIGH, SOB* NESSUNO commenta *SIGH, SOB* [SM=g27813] [SM=g27813] [SM=g27813] [SM=g27813] [SM=g27813] [SM=g27813] [SM=g27813] [SM=g27813] [SM=g27813]
Elizabeth Radcliffe
00domenica 26 ottobre 2003 22:05

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galadwen
00lunedì 27 ottobre 2003 22:43
Se nessuno commenta...
Rimedio subito![SM=g27815] so che è la cosa più tragica scrivere una fic e nn riceveere risposta [SM=g27815] Dunque: bella, molto, ma molto triste! e poi mi lascia un po' peplessa..questo Harry così cattivo...ma che gli succede??? sono curiosa di sapere cosa succederà! Vai avanti!!
Yogh-Sothoth
00martedì 28 ottobre 2003 02:47
IL SESTO CAPITOLO
NOTA: tnks a tutti qulli che hanno commentato :-)

CAPITOLO 6° - ODI ET AMO

Hermione aveva mandato indietro Edvige con una risposta dopo due giorni. Tutto sommato, pensò Harry dopo aver letto la lettera della ragazza, non era riuscita a rimanere offesa poi così a lungo. Non si sorprendeva più che ciò gli dispiacesse; aveva compreso che la notte in cui era morto Sirius un Harry Potter era scomparso con lui ed era quell’Harry ad amare i suoi amici; per lui che gli era sopravvissuto essi non avevano alcun significato, erano poco più che grida fastidiose nella quiete della solitudine. Volevano venire a trovarlo ancora? Pazienza, li avrebbe ignorati.
Durante l’estate che ormai volgeva al termine, le giornate sfuggivano ratte per la via che conduce ineluttabilmente al passato, mentre le nuove albe non portavano nulla che già non fosse odioso o superfluo. Harry dovette subire altre tre visite di Hermione che, non paga di scrivergli praticamente ogni ventiquattrore, si era fatta spalleggiare, in un’occasione, finanche da Ron, incurante di cosa potessero fargli i Dursley. Lui, per contro, quando si sentiva così magnanimo da voler prestar loro un minimo d’attenzione, li giudicava ridicolmente patetici in quegli assurdi tentativi di divertirlo o distrarlo. L’ultima di queste scriteriate intromissioni era stata, dal suo punto di vista, la summa di tutto ciò che lo innervosiva maggiormente; Hermione pareva si fosse adoperata con tutte le sue energie per renderlo furente.
Si era da poco assopito, avendo trascorso l’ennesima notte insonne a maledire se stesso e il mondo con le sue infamie, allorché venne bruscamente ridestato dal malevolo strepitare di suo cugino “Ehi! Svegliati idiota! La tua fidanzatina è venuta a trovarti!” “Chi? Che…” vociò Harry perplesso e intorpidito dal sonno “Ah! Si, si eccomi” aggiunse, intuendo a chi si riferisse Dudley. Non fece caso all’ingiuria, sapeva che era il risultato della frustrazione del non poterlo effettivamente maltrattare e ciò non solo a causa dei “suggerimenti” dell’ordine; Dudley aveva un sacro terrore del cugino e, ogniqualvolta gli fosse concesso, girava rigorosamente a largo dal giovane mago. Certo non aveva dimenticato la notte di un anno fa e i dissennatori che li avevano assaliti per la via deserta e di sicuro credeva ancora che fosse stato Harry ad aizzarglieli contro.
Sogghignò compiaciuto al pensiero, ma l’allegria durò poco; Hermione l’attendeva di sotto armata dell’incrollabile fede in se stessa e nelle sue buone intenzioni. Ciò nondimeno, se lei brandiva fede e dolcezza quali lame per infrangere il suo umor nero, Harry aveva ben altra impenetrabile lorica, intessuta e forgiata all’inestinguibile fuoco dell’odio e temprata nella pozza della sofferenza. La giornata non preannunciava dunque nulla di buono, ma questa non era una novità, il fatto che verosimilmente si sarebbe rivelata peggiore delle altre, rappresentava l’innovazione. Fu pertanto con un espressione realmente fosca che Harry scese le scale.
Hermione era nell’ingresso (ai Dursley, ovviamente, non era neppure passato per la mente di invitarla ad accomodarsi in salotto) abbigliata di tutto punto ed inappuntabile come sempre, il sorriso stampato in volto ma ben leggibile in ogni sguardo l’apprensione e la paura per l’amico. Harry l’avrebbe schiantata li per lì, solo per strapparle dalla faccia quel riso beota. “Credi di essermi simpatica? Credi di rallegrami? Chi cazzo credi di essere, un giullare per dover ghignare a quel modo?” stava meditando a tal modo, quando lei gli si fece incontro. “Oh no! Non vorrà abbracciarmi ogni volta che mi vede?!? Questa storia deve finire! Non sono il suo fidanzato e non sono suo fratello! Vada a scoparsi epistolarmente quel Victor!” e rimuginando ciò schivò il tentativo della ragazza. Hermione lo guardò storto per un attimo, poi sorrise di nuovo “Beh, ciao!” Harry sbuffò “Non sarai venuta solo a dirmi ciao, vero?” “Ah, sì sto bene, grazie” rispose lei vagamente indispettita. Il ragazzo continuava a fissarla in silenzio. Chiaramente qualcuno riteneva che avere quattro morti sulla coscienza, una serie di raccapriccianti incubi e un avversario letale sulle proprie tracce, non fosse un supplizio sufficientemente molesto da irrogargli. Certo, avrebbe potuto meramente metterla alla porta ma conosceva l’amica; sarebbe stata capace di acquartierarsi sotto la sua finestra a parlargli, se l’avesse ritenuto salubre per lui. Quanto era odiosa. Bene, avrebbe resistito, per ora.
Trascorsi che furono pochi minuti di assoluto silenzio, Hermione si decise a parlare “Che ne dici se mi accompagni a fare un giro?” Harry tentennò il capo in segno d’assenso e s’avviò rassegnato verso l’uscita, seguito da Hermione. “Oggi ho una bella sorpresa per te Harry!” cinguettò lei gioiosa. “Fammi indovinare. Devi andar via presto?” ma nel pronunziare quelle parole s’avvide della sorpresa: Hermione stringeva in mano due biglietti del parco dei divertimenti cittadino ”NO!” sbraitò Harry. “Oh sì, invece” disse lei, risoluta “un po’ di svago ti farà solo bene! Ad esser sincera io preferisco delle distrazioni più istruttive ma, in fondo, potrebbe essere divertente!” “L’unico fondo che potrebbe divertirmi al momento, mia cara, sarebbe quello di un burrone dove potrei scaraventarti!” per poco non si fece sfuggire la frase. L’occhiata ricolma d’astio che scagliò ad Hermione dovette essere, comunque, altrettanto eloquente poiché la ragazza distolse lo sguardo. Durante il tragitto in autobus furono assolutamente assorbiti dall’ignorarsi vicendevolmente e solo una volta dentro il Luna Park , Hermione sembrò rindossare la sua maschera d’allegria.
“Da dove iniziamo?” Harry tacque. “Non vuoi dirmelo? Fa niente. Vorrà dire che sceglierò io! Che ne pensi delle montagne russe?” e ciò detto l’afferrò per un braccio e lo trascinò verso la giostra. Chi li avesse visti a bordo del trenino che sfrecciava a tutta velocità, certo li avrebbe giudicati alquanto stravaganti. Harry non si degnava neppure di guardare innanzi, continuando ad osservare svagatamente il paesaggio sottostante, Hermione, dal canto suo, era immersa nei suoi progetti per l’amico e sovente occhieggiava nervosa nella sua direzione. Come furono nuovamente a terra lei esclamò angosciata “Accidenti, ma tu non devi neppure aver fatto colazione! Tuo cugino mi ha detto che dormivi ancora quando sono venuta!” “Non ho fame” tagliò corto il ragazzo, sempre più furente. Adesso oltre a psicanalizzarlo voleva anche fargli da balia? Senza badare a dove stesse dirigendosi, tutto preso dal suo rancore, s’infilò nella galleria degli specchi. Udiva solo vagamente Hermione che ciarlava a proposito del luogo “Sai questo posto mi ha sempre affascinata. Da piccola, quando mi portavano i miei genitori, c’è n’era una proprio identica non lontano da casa mia ed io avevo così paura degli specchi…” non finì la frase, Harry aveva lanciato un urlo di sgomento. “Cosa c’è? Harry, che hai?” ma lui non rispondeva, fissava sconcertato lo specchio di fronte all’amica. Quando lei vi si era specchiata, un cadavere disgustosamente putrefatto, con una folta chioma castana e indosso le vesti di Hermione, aveva sostituito il riflesso della ragazza. Gli ci volle un poco per riprendersi, la sua mente aveva colto una terrificante somiglianza. Prese fiato, respirò a fondo più e più volte, infine disse “Niente. Non ho niente. Solo andiamo via da qui” “Harry nessuno grida terrorizzato per non aver visto nulla” fece notare lei “Se ti fa piacere, restaci qui dentro! Io me ne vado, non devo certo avere il tuo permesso” Hermione lo seguì fuori. “Grazie mamma” scoccò lui, sarcastico.
Erano nuovamente a casa Dursley quando Harry le rivolse la parola. “Quando quelli dell’ordine verranno a riprenderti, mandali al diavolo da parte mia” la ragazza sussultò “Cosa? Ma… i miei genitori” si provò a protestare, Harry la zittì “Se credete che sia così stupido, da non capire che i tuoi hanno meglio da fare che scarrozzare una piccola presuntuosa fin qui una volta alla settimana o se credete che non sappia riconoscere per Tonks, la signora con quella strana pettinatura al parco e che avrà urtato un centinaio di passanti pur di seguirci, avete davvero capito poco del vostro beneamato Harry Potter. Ed ora sparisci che per oggi hai già fatto e detto abbastanza!” Hermione, incerta fra risentimento, dispiacere e irritazione si limitò a rispondere con voce atona “Beh, un ultima cosa te la devo proprio dire. Fra qualche giorno ci rivedremo tutti al nuovo quartier generale dell’ordine, spero che per allora avrai capito che se mi… ci interessiamo così a te, è perché ti vogliamo bene. Arrivederci!” quando si volse per andar via era lievemente rossa in viso.

1° INTERLUDIO - “Q” DI CUORI
“Perché? Perché, fa così? Possibile che mi odi davvero come vuol darmi ad intendere? Ma lui è mio amico, sicuramente mi vuol bene, almeno un po’! Ricordi mai che te l’abbia detto? Ma… abbiamo rischiato la vita assieme tante di quelle volte! Eravamo noi ad insistere per seguirlo, se rammenti… Si confidava con me! Veniva a chiedermi aiuto, consigli, anche quando non capiva di essere indelicato. No, deve solo tirarsi su col morale, magari ad Hogwards sarà tutto più facile! La morte di Sirius è stata davvero terribile, aveva avuto l’illusione di avere una famiglia e quasi subito Voldemort gli ha portato via anche quella; ma credo mi nasconda qualcos’altro, è troppo sconvolto. Se solo volesse dirmelo, potrei aiutarlo più facilmente, vorrei poterlo fare! Mi sento così impotente a non riuscire a farlo sentir meglio! Basta! Desidero rivedere il ragazzo che conoscevo e non mi farò spaventare dalle sue proteste; ha affrontato la sua morte per tante volte, deve imparare a fronteggiare quella degli altri. Devo credere che nel suo cuore ci sia spazio non solo per i defunti”
Yogh-Sothoth
00mercoledì 29 ottobre 2003 03:41
SETTIMO CAPITOLO: ma qualcuno mi legge? (***lacrimuccia, sigh***)
CAPITOLO 7° - IL SEPOLCRO DEL DIO CODARDO

Il periodo che precedette il suo trasferimento al quartier generale, fu tutto sommato tollerabile; gli incubi non l’avevano abbandonato ma non avevano più valicato il confine della realtà; Hermione gli aveva concesso una tregua con le sue missive, permettendogli di svuotare il cesto della carta straccia in cui rapidamente le gettava; Ron continuava a mandargli solo qualche sporadico bigliettino e per il resto il mondo, finalmente, lo ignorava; tutto andava bene. Ciò nondimeno non si era fatto illusioni a proposito, immaginava che quella fosse la quiete che sempre prelude ad una più grave tempesta. La bufera, difatti, si scatenò la notte in cui la squadra dell’ordine venne a prelevarlo.
I Dursley, appiattiti contro una parete del salotto, assistevano sconcertati ai preparativi della sua partenza; al centro della stanza Malocchio Moody distribuiva ordini e piani di volo, mentre Tonks correva, inciampando qua e la, per preparare i bagagli e, nel frattempo, altri maghi e streghe si aggiravano per la sala da pranzo e in giardino. La scena l’avrebbe anche potuto divertire se solo fosse riuscito a ricordare come si facesse.
Ad un tratto Tonks gli si fece vicino e sussurrò imbarazzata “Remus si scusa, ma non è potuto venire, sai era in missione” Harry fece spallucce, sarebbe stata una persona in meno a cercare di consolarlo. Quando tutto fu pronto e Moody ritenne la via sicura, Harry ,che si apprestava ad uscire, ebbe una percezione che lo lasciò interdetto per qualche secondo. Aveva visto un bambino piangere al chiuso di un sottoscala e al contempo capì che non avrebbe mai più messo piede in quella casa; non sapeva il perché ma ne era certo. Fu per questo che, prima di chiudersi la porta alle spalle, salutò i suoi zii con un addio; la sorte, acquattata in qualche recesso del tempo, lo aspettava lontano da li.
All’inizio il volo sembrò procedere bene; eppure mentre si trovavano a solcare i celi sopra un fitto agglomerato di case, Harry scorse due strani fasci di luce bianca fuoriuscire da delle case. Incuriosito li indicò a Tonks, che in quel momento gli volava accanto. “Quali fasci di luce? Io vedo solo l’illuminazione delle case!” gli rispose la giovane Auror, che ora lo guardava esitante “Sicuro di star bene? Se vuoi, posso chiedere a Malocchio di fare una sosta…” “No! Dannazione, io sto bene! Ma come fai a non vederli?!? Ti dico che sono lì! Guarda!” Tonks fissò il punto che Harry indicava con maggiore attenzione, strizzando gli occhi “Mah, io non vedo nulla…” poi rivolta a Moody, aggiunse “Tu vedi qualcosa?” Il mago, fattasi indicare la direzione esatta, mise in azione il suo famoso occhio magico. Passò qualche secondo, dopo di che sentenziò “Li non c’è assolutamente niente, ragazzo. Non perdiamo tempo. Le avrai immaginate!” La risposta mandò su tutte le furie Harry “Bene, allora vado io a controllare! Seguitemi se proprio volete e… se ci riuscite!” urlò e, dando di sprone alla scopa, con un rapido giro della morte si liberò di tutto il gruppo. La sua Firebolt era troppo veloce per gli altri, che oltretutto erano stati colti di sorpresa, così in breve tempo li distanziò facendoli sparire dietro di se nell’oscurità. Puntò dritto al fascio più lontano, poiché l’altro si stava rapidamente estinguendo e si arrestò a pochi metri di distanza, incredulo per ciò che stava osservando.
Nel chiarore un’evanescente figura umana, dall’enormi proporzioni, si agitava, combattendo con un suo doppio così scuro da apparire una propaggine della notte stessa. Lottarono per qualche istante ancora, afferrandosi e dibattendosi, fin quando la creatura tenebrosa prevalse, riuscendo ad immobilizzare l’altra che gemeva, disperata. L’essere che la bloccava esitò, come assaporando il gusto della conquista, quindi d’un tratto schiuse la bocca, ed essa continuò ad allargarsi fino a raggiungere un’ampiezza grottesca, lasciando scoperta un’orrida fila di zanne storte. A fauci spalancate si avventò sulla preda ingoiandola intera e rimanendo ad aspirare tutta la luce che tuttora si sprigionava. Un’inquietante aura rossastra esalava adesso da quella creatura che indugiava, trepidante, sul tetto dell’abitazione dove s’era svolta la raccapricciante scena, fiutando l’aria circostante nell’evidente ricerca di qualcosa. Fino al momento in cui si volse dalla sua parte, Harry non capì che fiutava proprio lui. Fu un attimo. Non gli fu concesso il tempo né d’agire né di pensare di farlo. L’essere dischiuse nuovamente le sue enormi fauci e con un rapido balzo lo inghiottì.
Secondi si rincorsero interminabili prima che Harry riaprisse gli occhi. Allora, si ritrovò in mezzo a quella che doveva essere una martoriata brughiera strapiombante sull’oceano, un oceano cupo e turbinoso. Viscide sanguisughe, gravide e pulsanti, crescevano dal terreno a guisa di raccapriccianti cespi d’erba, fameliche non già d’acqua ma di sangue. Il suolo, di un nero smunto, era orlato occasionalmente, nella pianura che degradava verso l’interno, da monconi di rocce, invariabilmente corvine e acuminate, intarsiate in arcani simboli runici o scolpite in estranee sembianze. Ancor oltre, il pianoro s’avvallava maggiormente, fino a formare una conca ove un fitto intrico di alberi vizzi e spogli, agitava i propri rami contorti alle geremiadi del vento; al di la di questi si stagliava, contro il cielo sanguigno, una sgradevole costruzione.
Fu questa a cogliere l’attenzione di Harry. Una forza sconcertante s’emanava da quelle mura, un potere tetro e arcaico pregno d’una seduzione senza eguali, esecrabile e lusinghevole ad un tempo; non vi si poteva contrapporre. Recarsi li trascendeva la vita e la morte, tutto annichiliva al raffronto; li ogni enigma conseguiva soluzione e risposte sgorgavano oltre ogni raziocinante quesito.
Raggiungere quell’edificio, null’altro aveva senso. Si mosse e continuò ad avanzare nonostante la ripugnanza dell’attraversare quei perversi erbai. Orridi rumori si generavano ogniqualvolta schiacciava dei ciuffi di sanguisughe che sotto il suo peso frusciavano flaccide o esplodevano in repellenti polle scarlatte. La nausea lo vinse verso metà del tragitto che lo divideva dalla selva e fu costretto a fermarsi, convulso in prolungati spasmi di vomito. Nuovi conati lo colsero, quando s’accorse che quegli immondi parassiti si nutrivano persino del suo rigurgito, tendendosi avidi per suggerlo. Cercando di non ascoltare e non guardare in basso, avanzò più veloce, lo stomaco contratto in un viluppo dolorante. Respirò liberamente solo allorquando giunse al limitare della boscaglia, laddove il terreno era affatto deserto. Solitario, s’intuiva la presenza di quello che doveva essere un sentiero che s’inoltrava serpeggiando fra gli alberi, dileguandosi nella loro tenebra. Senza indugiare si diresse a quella volta a passo spedito.
Man, mano che s’addentrava, udiva sussurri ricolmare l’aria attorno a lui; pianti strozzati rimbalzavano risonanti fra i tronchi morti e gemiti e urla si levavano all’innalzarsi del vento, mentre ombre vaghe ed indistinte si celavano fra i fusti. Talvolta un mormorio giungeva dalle sue spalle più distinto degli altri, ma ciò che riusciva a cogliere erano parole in lingue sconosciute.
Uscito che fu dal viluppo degli alberi, vide innanzi a se una riarsa collina e in cima a questa vi era la sua meta. Una torre insensata e smisurata, innalzava le sue mura per parecchi metri, storcendosi in complesse spire; pinnacoli saettavano dipartendosi dal corpo centrale terminando in aguzzi tetti listati da miriadi di cuspidi straordinariamente sbalzate. Sottili e profonde feritoie si aprivano nelle mura e, dominando su tutto, sei enormi artigli ricurvi ne coronavano la sommità. Architetture irrazionali sostenevano quella torre; tanto da farla apparire come una ciclopica illusione ottica che guastava la vista e stomacava la ragione.
Harry s’inerpicò fino al vertice del colle ove si fermò davanti degli smisurati portali, incisi in sconnessi ceselli che ritraevano obliati conflitti a cui nessun uomo aveva mai assistito e di cui nessun cantore aveva mai narrato le vicende, poiché essi precorrevano la storia degli esseri umani e del tempo stesso. Tremante, avvicinò la mano al colossale battente; poteva sentirne la possanza fluire attraverso il metallo. Violando il destino, appoggiò il palmo tentando di schiudere la porta. In quell’istante l’aere s’empì di grida strazianti e una voce inumana schiantò gli alberi e fece rabbrividire la terra. “IL SIGILLO RIMARRA’ INVIOLATO FINO AL GIUNGERE DELL’ULTIMO DEI MESI. QUI GIACE, IMMEMORE DELL’UNIVERSO, IL DIO CODARDO; ESSO ATTENDE LA VENUTA DELL’ARALDO E LA MORTE CHE CAMMINA”
Certezze balzarono alla mente incredula di Harry, investendolo e percuotendolo. Lui poteva conoscere… Gli sarebbe stato sufficiente aprire quella porta per apprendere cose che nessuno aveva mai concepito in miliardi di anni, consumati vanamente a vegetare e perire inconsapevoli sul pianeta morente. Lì tutto finiva, dolore, gioia, bene e male, non avevano alcun senso; sparivano e s’annullavano in quello che era il sepolcro di Dio.
~¤Lovely Angel¤~
00domenica 2 novembre 2003 05:07
Cavoluccio quanto ho perso!!!ç___ç
Sono rimasta indietro, se domani ho un po' di tempo, leggo tutti i capitoli^^ e ancora compliments^________________^
Yogh-Sothoth
00domenica 2 novembre 2003 05:33
CAPITOLO 8
NOTA: TNKS Lovely! :-)


Realms of bliss, realms of light
Some are born to sweet delight
Some are born to sweet delight
Some are born to the endless night.
End of the night, end of the night .
End of the night, end of the night.
(The Doors – The end of night)



CAPITOLO 8° - LE FORBICI DI ATROPO

“Harry!!! Svegliati, Harry!!!” suoni confusi giungevano da lontano. Lungi dal regno dell’ombra, avevano attraversato l’abisso e l’avevano trovato ed ora bramavano ricondurlo a casa; eppure lui non poteva tornare, non voleva tornare. Non ora che era così prossimo alla verità, non ora che ogni cosa gli poteva esser rivelata. Harry si sentì scrollare; la visione stava rapidamente dissipandosi lasciando il posto ad un volto. Strinse gli occhi, li serrò per sottrarsi al mondo che lo assediava. “Non adesso, non ancora!” stava sussurrando, ma la voce riprese a chiamarlo più forte e fu scosso nuovamente. “Harry, per amor del cielo che hai?!?” era Tonks. La ragazza, a mezz’aria accanto a lui, era visibilmente angustiata e le sue parole suonavano stridule, almeno un ottava sopra il normale. Harry aprì adagio gli occhi e fissandola si accorse di detestarla; di vedere in lei l’effigie dell’ottusa caponaggine della propria razza. Perché l’aveva destato? Perché l’aveva rincorso? Per quale dannatissima ragione la sua vita doveva essere sotto l’assiduo arbitrio altrui?
Continuò a squadrarla a lungo, riconoscendo dentro di se il furore che pressava per uscire. Odiava quella strega, come se in quel solo organismo vi fossero confluite le cagioni di tutti i suoi tormenti; sentiva la collera scorrere dentro di lui quale mortale tossina. Doveva tirarla fuori o questa l'avrebbe annientato. Le dita, serrate in pugno foravano con le unghie la sua carne e stillavano sangue. “Cosa ti è preso, sei impazzito? Perché sei scappato a quel modo?” gli stava chiedendo in quel mentre Tonks, ma Harry non udiva, stava lottando con il mostro che si annidava dentro di lui e che adesso era imminente a prendere il sopravvento “e poi che ti è successo? Eri qui avvinghiato alla tua scopa, con gli occhi sbarrati! Mi hai fatto paura!” stava proseguendo l’auror, senza curarsi dell’aspetto di Harry che tradiva tutta la sua furia. Ed essa, al fine deflagrò, nulla l’avrebbe potuta trattenere; la ragione, la calma e l’affetto erano solo un ricordo di tempi trascorsi, in cui un diverso Harry Potter sentiva il bisogno d’attorniarsi di patetici esseri umani. L’urlo che aveva stretto in gola esplose nel suo folle fragore ed esso era il ruggito dell’ira e dell’odio più assoluto, cieco e sordo a qualsiasi cosa, deciso ad abbattere tutto e tutti. Le vene gli palpitavano in fronte e sul collo e, strillando, si levò sulla scopa facendola ruotare furiosamente su se stessa e compiendo un giro completo che colpì in pieno volto Tonks. Un fiotto di sangue sprizzò quando la sua testa si ruppe contro il duro legno della Firebolt. La giovane emise un unico, flebile “Oh!” più stupefatta, forse, nel vedere la sua vita spezzarsi così imprevedibilmente, che per il male sofferto; si accasciò e precipitò verso la strada che si stendeva, placida e silente, alcuni metri sotto di loro. Harry presenziò affascinato, il volo di Tonks, notando che quest’ultima lasciava dietro se piccole quantità di sangue miste a materia celebrale, i capelli viola striati di scarlatto svolazzanti attorno al capo come un bizzarro uccello. Il cadavere, impiegò diversi secondi, prillando nella sua rovina, prima d’impalarsi contro un cartello segnaletico nella via sottostante. Il colpo fu così forte da sezionare a metà quella che era stata un’auror e che ora spandeva le sue budella ai due lati di un insulso segnale turistico. Fluidi organici e lembi di carne imbrattavano il marciapiede, colando in vari punti.
Era la prima volta che Harry recideva una vita umana e l’aveva fatto con apicale diletto, sentendosi ripagato di quegli anni trascorsi in silenzio a subire le insolenze del mondo. Forse non era la persona migliore contro cui aver scagliato la propria vendetta, ma non faceva alcuna differenza, aveva tempo per quello. Adesso si sentiva meglio, potente e devastante. Era la sua prima volta ed era stata gradevole oltre ogni ragionevole immaginazione. Le forbici di Atropo erano davvero un bell’oggetto.
Riprese a riflettere con più tranquillità; non doveva farsi trovare lì, avrebbero probabilmente inteso ogni cosa e questo non rientrava nelle sue mire. No, Azkaban non era una prospettiva lusinghiera. Voltò il suo manico di scopa e s’allontanò a tutta velocità. Percorse pochi metri e fu bloccato da Malocchio Moody che giungeva trafelato a cercarlo. “Ragazzo che diamine succede, ho sentito gridare?!?” chiese l’uomo. Harry fu obbligato a meditare in fretta. “Professor Moody, siamo stati attaccati! Tonks mi aveva trovato, poi un mangiamorte è apparso dal nulla e ci ha aggredito! Lei è caduta dalla scopa! Oh, è orribile!” proferì tutto d’un fiato, senza fermarsi. “Calmati! Che stai dicendo? Dov’è Tonks?” adesso il mago era indubbiamente allarmato “Io… io credo sia morta!” biascicò Harry, non riuscendo a guardare Malocchio in faccia. Sentiva che il suo sguardo si poggiava inquieto su di lui. “Che ne è stato del mangiamorte?” “L’ho messo in fuga, credo fosse solo in avanscoperta, devono averci avvistato” l’ex professore continuava a fissarlo intensamente “Dov’è? Dov’è caduta Tonks, ragazzo?” “Lì” rispose Harry indicando un punto alle sue spalle. Malocchio vi appuntò l’occhio magico e fece una smorfia. “Non possiamo far niente qui. Presto andiamo via, prima che ne arrivino altri o che qualche babbano, preoccupato dalle grida, ci veda” Harry capì che il suo ex professore nutriva dei dubbi sul suo racconto ma, non potendo provare il contrario, non aveva obbiettato nulla. Non riuscì, comunque a concentrarsi a lungo su queste considerazioni, il mielato gusto del sangue era ancora troppo forte sulle sue labbra e ne era inebriato. Accingendosi a seguire Malocchio, uno strano sogghigno gli aleggiava in viso.
Il resto del viaggio fu rapido e silenzioso. La formazione, che a un segnale della bacchetta di Moody si era celermente raggruppata, volò taciturna e spedita alla volta di Londra; nessuno fece domande sull’assenza di Tonks. Sorvolando la città si diressero verso una delle periferie occidentali. Un immenso ginepraio suburbano di casamenti moderni, costruzioni incustodite e strade male in arnese. Atterrarono sulla sommità di un palazzo alto tre piani, dall’aria deserta e fatiscente. Questa volta nessuno gli passò fogli con l’indirizzo del posto; notò, ciò nondimeno, che una strega fu sul punto di dire qualcosa ma Malocchio la zittì con un gesto. “Non si fida di me” ebbe modo di riflettere Harry “non deve aver creduto ad una sola parola… e probabilmente esporrà i suoi sospetti a Silente, quanto prima. E Silente? A chi crederà lui?”
Dentro v’era un piccolo comitato di benvenuto pronto ad accoglierlo festante, parecchi vociarono il suo nome salutando o abbracciandolo mentre lui si limitava a far mostra di un riluttante sorriso, cadenzando qua e là un “ciao”. D’un tratto s’udì Ginny che esclamava “Dov’è Tonks? Perché non è con voi?” Harry rammentò che l’anno precedente le due ragazze erano divenute amiche e Ginny in particolare s’era affezionata parecchio all’auror. Nella sala era calato il gelo, tutti ebbero presagio della funesta notizia; fu Malocchio a riferire la vicenda per come gli era stata rapidamente narrata. Harry fu compiaciuto nel notare che erano eccessivamente avvinti dalla morte di Tonks per chiedergli delucidazioni sui bagliori che erano l’origine della sua fuga; Ginny singhiozzava stretta ad Hermione che, a sua volta, non riusciva a contenere le lacrime come pure la madre di Ron che piangeva sostenuta dal marito. Molti brusii si percepivano da vari punti della stanza. Solo Harry non sentiva il bisogno di comunicare con qualcuno, isolato, in un angolo, rifletteva su cosa fare col professor Moody. Qualcosa come l’abbozzo di un idea, o meglio di un piano, andava prendendo forma nella sua mente e non desiderava esser distratto.
“Socio, accidenti che sfortuna che hai!” provarono a dirgli i gemelli, ma lui non prestava ascolto, se credevano che fossero i sensi di colpa a rattristarlo questa volta, sbagliavano di grosso.
Yogh-Sothoth
00martedì 4 novembre 2003 18:18
Capitolo 9
Now, don't you try an' move me,
You're just gonna lose.
There's a crash on the levee
And, mama, you've been refused.
Well, it's sugar for sugar
And salt for salt,
If you go down in the flood,
It's gonna be your own fault.
Oh mama, ain't you gonna miss your best friend now?
You're gonna have to find yourself
Another best friend, somehow.
(Bob Dylan – Down in the flood)



CAPITOLO 9° - IL TRIO

Adagio, con estrema cautela quasi che fosse un affronto alla morta, i presenti iniziarono a defilarsi sparendo per ignoti anditi del palazzo; ciascuno pago, suo malgrado, di aver convenientemente compianto l’acerba scomparsa.
Fu Hermione, ancora una volta, a ricordarsi di Harry. Aveva gli occhi arrossati dal pianto, eppure nel profondo covava una favilla di solidissima determinazione e lui intese che era lì perché si era riproposta di soccorrerlo; perseverando nella stoltezza della bontà, inconsapevole di quanto marcia fosse la realtà sotto l’abbagliante patina. Avrebbe mai potuto intendere o solo supporre che il dolore adesso lo sfamava, che l’altrui sofferenza era il miglior anestetico per il suo spirito straziato?
Hermione gli si sedette accanto, nella sala deserta, lo sguardo fisso al pavimento. Rimasero in silenzio per qualche momento, ognuno intento alle proprie riflessioni; senza sapere che, per quanto sedessero fianco a fianco, mai come in quel tempo le loro menti erano state così distanti.
“Mi spiace che sia successo proprio a te. Ho sofferto moltissimo per Tonks, ma…” la voce della ragazza era incredibilmente dolce e lieve, come se sospettasse di poter dilaniare l’amico con le sole parole “…ma, soffro molto di più per te. Proprio questo doveva capitarti, come se non fosse già abbastanza… tutto il resto” adesso sembrava esprimersi principalmente per se stessa. “E’ terribile! Mi sembra di essere sempre in guerra, sotto assedio! Non faccio che chiedermi se domani vedremo un altra alba e se quella sarà l’ultima. Perché la vita deve essere così crudele… so.. sopratutto con te?” continuò carezzandolo con frasi soffici, appena sussurrate.
Harry aveva udito distrattamente il soliloquio di Hermione e fra se lo scherniva. Se lei temeva che dei discorsi potessero ferirlo, lui era assolutamente certo che sarebbero bastate le sue idee ad annientarla; se solo avesse saputo! Si lusingava al proposito di svelarle il suo omicidio, per il solo diletto di poter contemplare la sua faccia, per il piacere di vederla illividire e sbriciolarne quella ignobile fede in lui. Non capiva che non aveva accanto un eroe, un demente mito creato dalla miserevole gente quale droga contro l’umana meschinità? Sedeva accanto ad un assassino e credeva di parlare ad un martire. Sarebbe scoppiato a ridere; era, invero, la cosa più folle che si potesse credere.
“Povera, ingenua Hermione” pensava “e se ti piantassi un pugnale nel tuo grande, generoso cuore? Qui, subito! Senza alcuna ragione, senza alcun motivo? Nessuna magia, neppure una maledizione, solo cruda brutalità. Seguiteresti a credere di dovermi consolare? Avresti ancora pietà per chi non la desidera?” Poi s’accorse che l’amica l’osservava; doveva aver parlato parecchio prima di accorgersi che lui non la udiva. Gli occhi immensi, alla tenue luce del camino che solitaria rischiarava l’ambiente, scintillavano ancora lucidi per le lacrime e ambivano a sondare la sua anima in cerca di risposte, eppure, riuscendoci, avrebbero rinvenuto solo raggelanti propositi.
S’affrettò a camuffare il mezzo sorriso che gli si era dipinto durante le sue elucubrazioni e chiese, sgraziato “Che vuoi?” “Ma mi hai ascoltato?” ben udibili suonavano le note della tristezza, una tristezza potente e senza eguali ”Avrei dovuto?” “Forse hai fatto bene” La risposta, così indecifrabile nella sua banalità, aveva incuriosito Harry, cosa voleva dire? “Che significa? Non è da te risparmiarmi delle parole! Ripeti un po’, ero distratto…” perché lo guardava a quel modo? “No, credo di aver capito che non ti interesserebbe. Però, posso dirti dove si trova la tua stanza…” Harry stava perdendo le staffe. Non riusciva a chiarirsi perché ritenesse così impellente conoscere ciò che l’amica aveva espresso e tuttavia provava la sensazione di chi, ormai sprovvisto di altre strade, abbia deciso di spiccare il salto nell’abisso che si stende cupo dinanzi a lui e, un secondo dopo essersi tuffato s’avvede del bellissimo ponte che lo scavalcava agevolmente. “Prima mi ripeti quello che hai detto…” la ragazza emise uno stanco sospiro “No. E se non vuoi sapere dove andare a dormire, posso anche darti la buona notte” ciò dicendo fece per alzarsi. Harry, drizzandosi repentinamente anche lui, l’afferrò per le spalle attraendola a se. “Tu non vai da nessuna parte se prima non mi rispondi! Se non hai il coraggio di dirmelo in faccia, avresti fatto bene a non dirlo affatto! Non sopporto che si parli alle mie spalle!” Hermione riprese a fissarlo a quel modo insolito e con voce smisuratamente malinconica replicò “Oh, avrei voluto che mi avessi sentito…” ma fu interrotta dall’ingresso di Ron che, adocchiandoli, si era fermato di botto, disorientato.
“Ehi? Ehm… C’è qualcosa che non va, ragazzi?” nessuno dei due rispose. “Harry, ero venuto a cercarti, visto che non venivi in camera!” il giovane mago lo squadrò come se stesse contemplando l’essere più patetico della terra, poi con aria di tracotante sarcasmo disse “E, nella tua somma arguzia, come credi avrei raggiunto la stanza, senza conoscere il palazzo? Bussando a tutte le camere?” Ron parve urtato da quelle parole e dal tono insolente, ma ancor di più dovette essere l’imbarazzo, poiché arrossì lievemente “Non.. non te l’ha detto nessuno?!?” era palesemente incredulo “Accidenti, mia madre deve aver preso proprio male la morte di Tonks, se si è dimenticata così di te! Beh… pazienza. Su vieni, che andiamo a dormire finché ci rimane qualche ora di buio! Ti mostro la stanza, è grandissimo questo posto, sai?” “Sì, sì… Va bene, vengo, rilassati” e ciò detto allentò la presa su di Hermione, che ancora stringeva, e sgarbatamente spingendola addietro s’avviò verso l’amico.
“Hermione tu… non vai a dormire?” chiese Ron vedendo che la ragazza non accennava a muoversi, indugiando immobile con lo sguardo perso nel vuoto “Perché, la cosa ti preoccupa?” Ron era in difficoltà. Cosa accidenti stava succedendo ai suoi migliori amici? Per quale ragione erano così strani? “Ecco… no. Cioè… sì. Insomma, mi chiedevo… tutto a posto?” Hermione incurvò le labbra in un sorriso senza gioia e, sempre fissando attentamente il nulla, rispose “Tutto a posto. Vai a dormire, io sto bene. Grazie” Ron esitava, incerto sulla soglia dalla quale Harry era già uscito, irrequieto “Sicura? Cioè, Tonks! E’…è stato spaventoso per tutti, se… se hai…” si fermò “Ron che diamine ti prende perché balbetti? E’ Hermione! Parla, no?!!” ribadì a se stesso e poi, ad alta voce, proseguì “se vuoi parlane con… qualcuno. Non esitare, cioè se la cosa ti turba e vuoi…” non riusciva a trovare altro da aggiungere, le frasi gli morivano nella gola inaridita; fu Hermione a giungergli in aiuto “Grazie per l’offerta, ma non ti preoccupare per me. Sto bene, davvero. Corri da Harry, io rimarrò un altro po’ a… riflettere” il ragazzo aprì la bocca per proferire qualcosa invece la voce di Harry pervenne a soverchiare la sua “Allora hai intenzione di balbettare ancora a lungo, prima di chiederle se te la da?!?” Ron era paonazzo, squittì un rapido “buona notte” all’amica e, chiusosi celermente la porta alle spalle, strillò ad Harry “Ma sei impazzito?!? Che ti salta in mente? Ti.. ti sembrano cose da…” “Finiscila Ron, sono stufo. Dove diavolo è la stanza?” Ron non riuscì a replicare; l’espressione dell’amico, per quanto esteriormente impassibile e pressappoco annoiata, gli appariva come un segnale di pericolo che non era opportuno ignorare. Non voleva farlo arrabbiare, dopotutto aveva ragione ad essere irritato. Aveva appena avuto un esperienza tremenda e lui pensava a… già a chi pensava lui? La soluzione era una ed inequivocabile: lui vagheggiava Hermione. I suoi incantevoli occhi color cioccolato che quella sera erano così affascinanti, così lucenti. Sognante, non si rese conto che tuttora non si era mosso di un solo passo. Gettò una sbirciata nervosa all’amico “Fa con comodo, mi raccomando” confermò questi. Era a disagio con quella nuova versione del suo compagno, così taciturna e calcolatrice. Ron si ritrovò a paragonarlo ad un grosso felino che, in agguato nell’ombra, attende la sua preda. “Che stronzate pensi Ron?” si rimproverò con forzato divertimento.
Molti finirono per rimanere desti ed inquieti nella nottata che volgeva al termine, ognuno ghermito dalle sue considerazioni individuali, ciascuno riflettendo, a sua insaputa, sulle molteplici fattezze di una sola incognita.
Finalmente a letto, Harry finse di dormire onde evitare qualsiasi tentativo di conversazione con Ron, ma questi, a sua volta, non aveva alcuna intenzione di parlare, voleva riflettere. “Accidenti, non è possibile; come è diventato così? Questo non è il mio amico!” la sua mente vagava rimuginando senza meta precisa “Che bastardo! Come può dire quelle cose di fronte ad Hermione? Sarà sotto shock e va bene…. Però…! E’ perché Hermione non ha protestato? Cosa stavano facendo? Dai Ron, ammettilo, sei geloso di Harry! Hermione, con lui, neanche si arrabbia più; è sempre così premurosa e gentile ultimamente. Ma lei lo è sempre!” protestò a se stesso “Ma non lo era mai stata in quel modo… era così… Smettila, smettila! Non esser sciocco, anche se non fosse… lei non… non ha bisogno di te!” e con questa amareggiata considerazione, scivolò nell’oblio del sonno.
La mattina si era destata da qualche respiro, lacerando, con unghie affilate, la tenebra notturna che le era scampata innanzi volando ad uccidere altri tramonti sul globo. Solo adesso, gli abitanti del palazzo avevano scovato la tregua del riposo; tutti salvo due.
Nell’ambiente dove avevano ricevuto Harry, Hermione s’era accoccolata su un sofà adiacente al focolare e ripensava al destino. Neanche a se stessa riusciva a ripetere le asserzioni della notte, fiori bellissimi erano avvizziti anzitempo sul terreno arido.
Un piano più in basso Harry progettava, quantificando fortune e azzardi, esaminandoli sotto ogni aspetto. La sua nuova bilancia era di gelido acciaio e infallibilmente accurata, su di essa un cuore possedeva un suo piccolo peso, una bacchetta ne aveva ancor meno e un’anima non ne teneva affatto.
ElTigno
00martedì 4 novembre 2003 19:57
Ho letto solo il primo capitolo e mi alletta parecchio, buona scrittura ;) cmq "Il sepolcro del Dio Codardo" mi ricorda qualcosa...
Yogh-Sothoth
00giovedì 13 novembre 2003 23:57
CAPITOLO 10° - D'AMORE E MORTE
CAPITOLO 10° - D’AMORE E MORTE

Harry scese dal letto intorpidito e, sebbene non fosse riuscito a prender sonno, smaniava di andar via dalla stanza prima che Ron si ridestasse cominciando a blaterare, come di consueto, qualcosa di sciocco nell’improbabile intento, magari, di distrarlo. Se v’era una certezza nella sua esistenza, si disse fra se, era che qualunque concetto uscito di bocca a Ronald Weasley fosse idiota o riguardasse il Quidditch e, verosimilmente, fra le due cose non intercorreva discrepanza alcuna.
Per quale, masochistica, ragione aveva sprecato cinque anni a inseguire un’insulsa sfera dorata, sconsideratamente ignaro dei demoni che correvano dietro lui? S’era ritenuto appagato in quanto idolo di altri sprovveduti; aveva rivolto il viso alla luce e questa, lusinghiera, gli aveva sorriso, spregiando l’oscurità che se ne ritraeva inorridita. Non aveva così udito il richiamo della porta, ma ora sapeva che da qualche parte era entrato in contatto con essa. Se solo fosse riuscito a capire dov’era ubicata! Bramava più d’ogni altra cosa attraversarla, ricongiungendosi, da ultimo, alla sorte che lo attraeva, seducente.
Si avvicinò alla finestra e scostò stancamente le grevi cortine che ne occultavano le imposte; fuori, il sole torreggiava alto nel cielo ceruleo e il suo chiarore stuprava, implacabile, l’ombra del mondo. Le mani gli si contrassero in un inconscio fremito di sdegno e, allontanandosi, lasciò ricadere la tenda infastidito.
Aveva quasi guadagnato l’uscita, allorché uno schiocco inatteso gli annunciò l’arrivo, quanto mai inopportuno, dei gemelli Weasley. Il rumore svegliò bruscamente Ron, che emergendo da qualche suo incubo, si alzò strepitando “NOOOOO!!! LASCIALA STARE!!!”
Fred e George risero divertiti dal contegno del fratello e, così distratti, non notarono il guizzo d’acuto interesse con cui Harry s’era volto verso l’amico, all’udire quelle parole.
“Chi dovrebbe lasciar stare chi, fratellino?” chiese George con affettata innocenza, mentre Fred, strizzando l’occhio al gemello in segno d’intesa, proseguiva “Dai, non fare il tonto anche tu! Sappiamo benissimo chi è LEI! Hai forse qualche dubbio?” Ron, che adesso era del tutto sveglio, intuendo immediatamente le allusioni dei gemelli, stava diventando di un intenso color vermiglio. “Oh, merda” pensava “proprio loro dovevano accorgersene? Adesso che se n’erano andati via da Hogwards, speravo d’averla fatta franca… che in fondo non si notasse! Oddio, non la smetteranno più! Chissà che figure mi faranno fare con lei!”
I gemelli, frattanto, seguitavano imperturbabili nella loro farsa ai danni del fratello “Stimato socio, non avrà forse dimenticato come il Nostro, qui presente, non smetta mai di occhieggiare alla sua collega prefetto, vero?” disse Fred come se stesse illustrando la più recente scoperta nel campo della magia. “Oh, certo! Come ho fatto a dimenticare l’aria imbambolata… pardon, più imbambolata del solito, con cui il nostro fratellino guarda e risponde ad Hermione!” al nome dell’amica, Ron sembrò ripiombare in qualcosa di peggiore del sogno per il quale aveva urlato angosciato e prese a borbottare contro i due “Smettetela. Voi… non sapete un tubo! Non potete capire” “Quello che mi domando, è come non siamo riusciti a scoprirlo prima, quando eravamo a scuola?” “Già” continuò per lui Fred “perché la cosa deve andare avanti da parecchio, a giudicare dall’aria di rassegnato disgusto che assume la tua bella, ogni volta che fai l’imbecille con lei…” “E’ vero, quella ragazza deve proprio essere una santa!” riprese George, fingendosi ammirato “Visto che non ti assesta un bel pugno in faccia e non ti dice chiaramente quanto le rompi le scatole! Io al suo posto…” a quel punto occorse un evento del tutto imprevisto e impensabile: Ron scoppiò a piangere, senza alcun ritegno o apparente ragione, come un bimbo di pochi anni a cui è appena stato detto che è venuto al mondo solamente per dipartirsene in breve tempo e consumandosi nel dolore. Qualche secondo dopo, era nuovamente sprofondato nel materasso; singhiozzante, con il volto pigiato sul cuscino, bofonchiando ogni tanto dei “Non è vero!” intrisi di frustrazione e sconforto.
I gemelli lo contemplavano sbigottiti; si rendevano conto, senza dubbio, di aver colto Ron nell’intimo dei propri sentimenti, ma non ne concepivano la spropositata reazione. In fondo, con Pearcy e Penelope avevano fatto ben di peggio. Dopo il primo momento di sconcerto, Fred poggiò una mano sulla spalla di Ron e disse, impacciato “Ron, ecco, scusaci… non pensavamo che… cioè…” non poté proferire altro, poiché un veloce bussare preannunciò l’ingresso in scena di Hermione che, dopo aver chiesto “Permesso?” e non avendo ricevuto risposta, aveva aperto la porta ed era entrata.
La ragazza, restò titubante sull’uscio a studiare l’atipica situazione: Ron steso, piangente, sul letto, Fred seduto accanto a lui nel vano tentativo di confortarlo e George in piedi, lì vicino, che mormorava qualcosa a proposito di “darsi un contegno”; su tutto l’espressione di Harry, un ghigno a metà tra il divertito e il nauseato. Questi, avvedutosi dell’espressione interrogativa dell’amica, distolse celermente lo sguardo, abbandonando il sorriso.
Hermione, passato il momento di sorpresa, domandò dapprima “Ragazzi, cosa è successo?” in seguito, operando una rapida connessione tra la presenza dei gemelli e l’apparente ilarità di Harry, rincarò “Cosa gli avete fatto?!? Che scherzo idiota avete combinato?!?” Per la prima volta da quando li conosceva, Fred e George non ebbero nulla da replicare e, al contrario, rimasero in colpevole silenzio. Fu Fred, che percependo il piglio accusatorio d’Hermione, provò a chiarire “Noi.. ehm… non credevamo la prendesse così male! Non volevamo…” la giovane era realmente furibonda; li folgorò con lo sguardo “Vi conosco abbastanza per immaginare che volevate, ECCOME!!! Non vi vergognate per niente?!? E’ vostro fratello, santo cielo!!!” All’intendere tali accuse, anche Fred s’era irritato e, alzandosi, ribatté stizzito “Per tua informazione, signorina SOTUTTOIO, il nostro massimo piacere, se non l’avessi capito, non è veder soffrire la gente! Chiunque essa sia!!! Noi ci divertiamo a far innervosire, a provocare, a schernire, non certo ad umiliare o offendere le persone!!! E se è questo che credi di noi, allora non hai capito proprio un bel niente!!! Noi vogliamo semplicemente divertire!” La ragazza era rimasta colpita dalla dichiarazione “Oh, ecco…” tentennò, poi riprese “Beh, non mi pare che si stia divertendo…” Una voce giunse a bloccarla; era Ron che, asciugandosi le guance ancora scarlatte per l’imbarazzo di aver frignato come un lattante davanti a tutti, tentava di blandire i tre che si provocavano “Vi prego, smettetela! Non ho.. non ho niente. Ero… ero solo scombussolato per ieri ed ho avuto una reazione esagerata… tutto qui. Hermione, tranquilla. Loro, non avevano cattive intenzioni… dicevano… dicevano… solo, cose vere, nulla di cattivo” “Oh, andiamo! Vere! Noi scherzavamo, lo sai! E poi…” Hermione li interruppe ruvidamente, per nulla soddisfatta dalla spiegazione dell’amico “Insomma, cosa avete fatto?!?” George era visibilmente oltre il suo limite di tolleranza “Maledizione, Hermione!!!” sbottò “Vuoi smetterla di darci a dosso, neanche fossimo mangiamorte??? In fondo la colpa di tutto ciò è solo tua!!! Se non sai…” il ragazzo non riuscì a ultimare il concetto; prima che Ron potesse fare alcunché per tacitarlo, prima ancora che Fred desse di gomito al gemello, furono tutti sorpresi dalla risata di Harry. “Siete proprio ridicoli!!! Sul serio! Ma non vi accorgete…?!?” s’arrestò, rendendosi conto che stava per proferire a voce alta ciò pensava.
Incupitosi, fece per uscire dalla stanza, sbraitando “Al Diavolo! Se ne avete ancora per molto, io vado a cercarmi da solo la sala da pranzo!” molti sguardi s’incontrarono in quell’attimo, ognuno perplesso e frastornato dall’eccentrico atteggiamento del loro amico. Avevano quasi creduto di trovarsi al cospetto di Draco Malfoy anziché del loro compagno di sempre e, tuttavia, qualcosa di più sinistro si dimenava dietro l’apparenza; v’era in quell’ostile allegria un’agghiacciata lama di riprovazione come mai nessuno di loro aveva colto prima.
George fu il primo ad agire, trattenendo Harry per un braccio e, forse un po’ troppo gioiosamente per esser verosimile, esclamò “Andiamo, non vorrai andar via ora? Noi siamo venuti fin qui a salutarti e tu, ci lasci?” Harry, girandosi, inarcò un sopraciglio “Sì, esatto” disse Fred “Noi andiamo via fra poco, anzi avremmo dovuto già esser via. Sai, il nostro negozio di scherzi… Non possiamo allontanarcene per molto. Quindi abbiamo pensato di passare a salutarvi e lasciarti dei regali o, meglio, dei campioni dei nostri scherzi!” “Giustissimo” incalzò George “dei prodotti promozionali, se vuoi. Guarda!” e, così affermando, gli indicò una scatola che aveva portato con se “Allora, vediamo un po’ cosa c’è qui… Ah, sì! Ecco le nostre nuovissime “orecchie estensibili potenziate”! Adesso è possibile allungarle fino a 5 metri ed in più con un semplice comando le si può rendere invisibili!!! Davvero una grande comodità, che permette di stare alla larga dai pericoli, non so se mi spiego” concluse raggiante il ragazzo. I due, fieri della loro abilità, esibirono ad Harry vari altri gadget e giochi di loro invenzione, ma lui non gli prestava più attenzione, le “orecchie estensibili potenziate” avevano aggiunto un altro filo alla sua ragnatela. A rilento eppur inesorabile, essa andava intessendosi con chirurgica precisione; pochi filamenti, un'unica, semplice, opportunità e l’insetto sarebbe stato catturato e sbranato dall’avido ragno.
Ron s’avvalse del caos creato dai gemelli con le loro trovate, per tentare di defilarsi segretamente; non desiderava che Hermione lo interrogasse sull’accaduto. Aveva messo da parte l’orgoglio, l’assurda presunzione che un uomo non debba piangere per i propri sentimenti ed era stato ferito; il suo cuore, spalancato al pubblico ludibrio, sanguinava dolente. No, non era proprio il momento per un colloquio con Hermione. Ciò nondimeno, non appena questa s’avvide dell’uscita del ragazzo, si mosse per raggiungerlo “Ron, fermati, cos’hai? Cosa ti hanno fatto?” “Io… Te l’ho detto, solo… ero sconvolto da prima” la giovane parve irritarsi a quella risposta e replicò, brusca “Oh, no Ron! No, anche tu, no! Se non me lo vuoi dire e va bene! Ma non inventare scuse!” e andò via.
Una nuova, terribile, staffilata al suo amore dilaniato. Era stato magnifico quando lei era intervenuta, preoccupata, contro i suoi fratelli, sgridandoli senza neppure saperne il motivo, l’aveva visto in lacrime e l’aveva difeso. Si era illuso, per qualche glorioso momento, che l’avesse fatto perché era suo amico, forse, qualcosa di più un conoscente qualsiasi. L’evidenza, tuttavia, gli aveva prontamente sputato in faccia la sgradevole verità. Capiva che Hermione si sarebbe comportata in tal maniera anche se si fosse trattato di un Elfo domestico. “Anzi” rifletté, sconsolato “con un Elfo sarebbe stata certamente più comprensiva” Una volta adempiuta la propria morale contro l’ingiustizia, quello che aveva dimostrato nei suoi confronti non era che l’educato interesse del buon samaritano per la vittima delle sue premure. Non aveva avuto la pazienza di sostenere nemmeno cinque minuti di quella che, probabilmente, le appariva come irriconoscenza “Fosse stato Harry, l’avrebbe sopportato fino allo sfinimento!” meditò “Oh diamine, Ron! Per oggi non ti sei reso ridicolo abbastanza? Torna alla tua insignificante scopa e leggi i tuoi dannatissimi libri sul quidditch e vivi contento e spensierato. Il mondo andrà innanzi anche domani, anche senza di te. Girerà più veloce con un idiota in meno a calcarne il suolo. Torna, torna a volare sulla tua scopa!” bramò davvero poterlo fare. Sognò di essere alla Tana, a casa sua, per poter cavalcare il suo manico e allenarsi, concentrandosi su qualcosa di diverso. Il vento, forse, l’avrebbe consolato, bisbigliandogli qualche parola dolce.
La sera, Harry, fece la sua prima mossa. Non gli ci volle molto per scoprire quale fosse la stanza dove avvenivano le riunioni dell’ordine, anzi, fu la signora Weasley stessa a dirglielo preoccupata, ovviamente, perché non ci si avvicinasse troppo. Subito dopo, si fece accompagnare da Hermione per un giro del palazzo, così da “potersi orientare e sapersi muovere” come gli aveva prontamente sciorinato la ragazza, senza immaginare quanto Harry tenesse a davvero a quelle informazioni, quanto gli fosse vitale orientarsi e conoscere la planimetria del posto.
Hermione era manifestamente molto soddisfatta dell’attenzione che l’amico le dimostrava, prestando ascolto a tutte le sue indicazioni e chiedendone dettagli. Pensò che alla fine gli scherzi di Fred e George fossero effettivamente serviti a rallegrarlo e quasi si rimproverò di averli trattati così duramente. L’immagine di Ron, con gli occhi arrossati dalle lacrime, le si interpose nella mente e la risata di Harry, così strana, così… Avvertiva il mutamento dell’amico, lo percepiva con una sorta di istinto che le insinuava orribili ipotesi. Il suo migliore amico stava cambiando, lei gli aveva aperto il suo cuore la notte precedente e lui neanche l’aveva ascoltata ed ora, che parlava di scale e finestre, non si perdeva una sola sillaba! Qualcosa non andava… l’istinto riprese a sussurrarle in orecchie che non poteva chiudere e solo faticosamente, la ragione, soccorsa dal cadavere di un’ottusa speranza, riuscì a zittirlo, gridando che avrebbe fatto bene a godersi questo mento di pace dato che non sarebbe durata. La guerra incombeva, ne era certa. I volti pallidi e angustiati dei membri dell’ordine erano la migliore delle risposte; presto sarebbe calata su tutti loro con passo poderoso e tonante ed avrebbe spazzato la terra affliggendola fino alle fondamenta, storpiando il creato e gli uomini. Ci sarebbero stati, invero, dei vincitori in un tale scontro? E questi, sperduti sopravvissuti dell’apocalisse, avrebbero avuto energia e volontà per vivere ancora?
Winifred la malandrina
00mercoledì 19 novembre 2003 08:11
Ciao!
Sono una malandrina che dopo tanto mesi è
ritornata a visitare questo mitico sito e
ma guarda chi mi ritrovo!
Ciao Yogh... sono Toru [SM=g27828] [SM=g27828] [SM=g27828]
Ma qui sono una malandrina [SM=g27822] [SM=g27822]
Beh c'è bisogno che ti commenti la tua fic anche qua?
Lo sai già che per me è fantastica.
[SM=g27811] [SM=g27811] [SM=g27811]
Black Sirius
00mercoledì 19 novembre 2003 18:22
L'ho copiato tutto da ff.it adesso me lo leggo...[SM=g27811]
Yogh-Sothoth
00venerdì 5 dicembre 2003 18:40
11 Capitolo!!!
PS: UN MEGA SALUTONE A TUTTI ED IN PARTICOLARE A TORU ;-)

War without end
No remorse no repent
We don't care what it meant
Another day another death
Another sorrow another breath
No remorse no repent
We don't care what it meant
Another day another death
Another sorrow another breath

Blood feeds the war machine
As it eats its way across the land
We don't need to feel the sorrow
No remorse is the one command
(Metallica – No remorse)



CAPITOLO 11 – IL DELITTO PERFETTO (prima parte) - I VANGELI SCARLATTI

Aspettare, attendere senza posa un’opportunità; trascinarsi negli angoli bui a scippare frammenti di conversazioni tentando di mimetizzarsi nel nulla; stabilmente in agguato alla ricerca d’informazioni. Su questo aveva ricomposto le ceneri fumanti della sua vita, dandogli nuova foggia e nuovo aspetto, nuovi fini e nuove priorità e, soprattutto, una novella morale nera.
Spiare e valutare, ogni giorno, ogni minuto, ogni qualvolta fosse possibile. Ascoltare figurando di non esistere, ostentando di non udire. Sottraendosi allo sguardo indagatore di coloro che gli stavano vicini, occultandosi alla loro invadenza.
Non esistere non è difficile come si potrebbe credere, ne è doloroso come si potrebbe immaginare; la gente è sempre pronta ad ignorarsi, ad ignorarti; è di gran lunga più semplice e comodo, va solo incoraggiata adeguatamente. Serve impegno e tenacia per manifestare la propria invisibilità ma quando molti o tutti l’avranno accreditata, non importa quanto si possa esser loro vicino, continueranno a parlare e discutere e ridere, poiché sei divenuto meno di un fantasma; non hai più sembiante nel loro universo e se non esisti nel mondo che la gente crea ogni giorno investendolo di significato, dove altro puoi vivere? Si può sparire senza alcun mantello dell’invisibilità, basta essere dimenticati; la risoluzione dell’amletico non essere.
“To be or not to be…” Harry aveva scelto.
Certo, per un ragazzo come lui, con il bacio della morte e della fama impresso in fronte, con la nomea delle sue gesta a rincorrerlo come segugi, non poteva essere così semplice. Non bastava ignorare tutti per essere ignorato; quando sei famoso, quando sei un personaggio, c’è sempre qualcuno che sbava alle tue ginocchia in attesa di qualche avanzo; i suoi presunti amici, ad esempio, attendevano la gloria riflessa di lui assillandolo di continuo, varcando instancabilmente il limite della sua meditabonda solitudine, pretendendo di introdursi ed allontanarsi dalla sua vita, quale grottesca bettola di periferia in cui ognuno entra e sporca e sbraita, per poi uscire sputando sull’impiantito.
Il suo piano era l’unica cosa che lo tratteneva, che tuttora lo legava a quei luoghi e quelle persone di cui si sarebbe ben volentieri sbarazzato, strascichi putrescenti della sua estinta infanzia.
Doveva agire con perizia ma al contempo la rapidità era essenziale e tuttavia essa non dipendeva da lui; quella piccola, misera, occasione che mancava a completare la sua sentenza, pareva non volersi concedere nonostante indagasse costantemente, seguendo e bramando la preda che fiutava e che pure non poteva far sua.
Malocchio, in quei giorni, non andava fuori dal palazzo per alcun motivo e non perdeva occasione per controllare il comportamento di Harry intuendo ciò che ad altri, troppo amandolo, era sfuggito. Ciò nondimeno qualcosa di ben più fondamentale era sfuggito al vecchio Auror; credendo di esser lui a tenere d’occhio le azioni del ragazzo, non si era reso conto che quest’ultimo esaminava, e con maggior profitto, le sue.
Harry era ormai riuscito a sviare da se quasi tutte le attenzioni degli adulti, complice anche il prolungarsi dell’assenza di Lupin che certo non avrebbe potuto eludere con avveduti silenzi. Perfino la signora Weasley si era rassegnata a rendergli pace, convintasi, probabilmente, che la cosa migliore fosse il solo aiuto dei suoi coetanei. Proprio questi erano il suo peggior problema che, se da un lato non lo assillavano più come prima, pure, tentavano di non lasciarlo mai solo abbastanza a lungo perché potesse respirare aria che non fosse appestata da altri fetidi fiati e discorsi. In particolare, aveva preso realmente in odio le due ragazze, di fatto le sue più assidue aguzzine della parola.
Ginny ed Hermione, agli occhi di Harry, passavano il tempo baloccandosi fra i loro fitti e imperscrutabili colloqui, la metodica persecuzione ai suoi danni e le recrudescenze di quel fantomatico affetto per Tonks che asserivano provare. Insopportabile, oltretutto, il pensiero che Hermione fosse sostenuta dalla ragazzina che fino a qualche anno fa arrossiva fuggendo alla sua sola vista ed ora, allorché avrebbe davvero ben fatto a scampare la sua persona, lo piantonava instancabilmente. Frustrante.
Solo Ron, lasciato a se stesso, pareva essersi persuaso, più d’ogni altro, che l’amico fosse davvero inesistente, ignorandolo onde possibile e mai rivolgendogli per primo la parola. Ciò non poteva che far piacere ad Harry che, tuttavia, nutriva dei dubbi sul compagno. Sovente ebbe a chiedersi se lo sprovveduto Ronald Weasley non avesse immaginato e indovinato troppo sul suo conto. In tal caso, sarebbe stato probabile che i Grifondoro avrebbero avuto bisogno di un nuovo portiere quell’anno. Non poteva, comunque, permettersi ancora di distrarsi dal suo attuale scopo, per altri che non fossero Malocchio, aveva a disposizione tutto un anno scolastico.
Alla fine aveva deciso di tornare ad Hogwards, non per studiare chiaramente, non per la gente che frequentava quel posto e che gli era estranea o invisa, bensì per cercare indizi sulla porta. Forse era proprio li che era venuto in contatto con essa. Possibile?
I gemelli tornarono a trovarlo altre volte, come aveva scoperto, dietro suggerimento di Hermione la quale, per qualche sua irrazionale ragione, riteneva che questi fossero i soli a metterlo di buon umore. Harry, si limitava a tollerali graziandoli, di quando in quando, di un artificioso sorriso per le loro battute e ciò era dovuto unicamente al fatto che i due erano stati gli unici ad essergli utili, e per ben due volte, senza neppure rendersi conto di averlo fatto.
Alle orecchie estensibili doveva, infatti, alcune delle informazioni che aveva acquisito e, soprattutto, ad esse andava attribuito il merito per la sua onniscienza di ogni cosa accaduta all’interno della stanza delle riunioni dell’Ordine. Ovviamente, alla soglia di questa, era stato posto un incantesimo di imperturbabilità ma nessuno aveva tenuto conto della finestra che, essendo posta ad una notevole altezza e non avendo altre ne al di sopra ne al di sotto, pareva fuori dalla portata dei giovani curiosi. Oltretutto, dopo la notte del suo arrivo, Harry, aveva notato che la porta che conduceva al tetto era tenuta ben serrata con qualche incantesimo, sicuramente a prova di Alohomora. All’inizio si era trovato in difficoltà, non avendo alcuna apertura o balcone dal quale calare l’invenzione di Fred e George per ascoltare la conversazione; aveva pensato che, poiché i conciliaboli dell’Ordine si tenevano generalmente la notte, avrebbe potuto uscire dalla finestra della sua stanza con la Firebolt e avvicinarsi, coperto dal mantello dell’invisibilità, quel tanto che bastava per infilare un capo dell’orecchie estensibili sotto le imposte. Poi si rese conto che avrebbe dovuto continuare ad ascoltare la discussione fuori e che la scopa non poteva esser coperta tutta dal mantello. Avrebbe potuto far un incantesimo non autorizzato sulla sua scopa, ma non poteva corre il rischio che il ministero ne venisse a conoscenza, rischiando così di far sfumare ad un tempo i suoi piani e concretizzare i sospetti di Malocchio.
La soluzione gliela fornirono i gemelli, venendogli in aiuto per la seconda volta, beatamente ignari di aver dato anch’essi una stretta al cappio attorno al collo di un uomo.
Tre giorni esatti da che si era trasferito al quartier generale, Fred e George gli si presentarono con nuovi scherzi da provare ed Harry, fingendosi interessato a compiere un qualche tiro birbone a scuola, domandò se avessero qualcosa che rendesse invisibili gli oggetti. “Magari si potrebbe organizzare uno scherzetto ai danni di Malfoy…” spiegò, ammiccando. Era sicuro che non avrebbero mai resistito ad una proposta del genere e che certamente avrebbero trovato, anche a costo d’inventarlo lì per lì, un articolo magico che fosse atto allo scopo. Come previsto, infatti, i due si gettarono anima e cuore nell’impresa, illustrando al ragazzo tutta la loro collezione di gadget “Vedi, dipende da che cosa vuoi far sparire; ad esempio avremmo il Capello Senza Testa, ma serve a far scomparire solo la testa appunto o, comunque, una cosa che può entrarci dentro…” iniziò ad illustrare George.
Alla fine, dopo aver proposto le soluzioni più assurde, dagli Anelli Mozza Mano a gli Occhiali Cava Occhi, Fred tolse di tasca un piccola fascia di stoffa nera “Beh, se proprio non sai di preciso che oggetto vuoi far sparire abbiamo il Nastro Scomparente” Un lampo attraversò la mente di Harry, ricolma adesso di nuove aspettative “Come funziona?” “Oh, beh è semplice” rispose Fred “si prende questo pezzo di stoffa e lo si annoda all’oggetto e questo si dissolve. Ovviamente l’effetto è temporaneo, un ora e mezza massimo due, ma lo stiamo perfezionando…” e così Harry ebbe la sua copia omaggio del Nastro Scomparente, “Il miglior modo per far perdere una cosa a chi vi sta antipatico!” come avevano recitato i gemelli a mo di slogan. Proprio ciò che Harry si proponeva di operare, far perdere qualcosa a qualcuno, anche se l’oggetto in questione era la vita.
La sera stessa Harry saggiò le possibilità della sua idea. Aveva notato che molti componenti dell’ordine erano riapparsi al palazzo ed aveva dedotto che in serata, certamente dopo che i ragazzi si fossero allontanati per dormire, avrebbero iniziato a parlamentare delle loro missioni. Nottetempo, dunque, dopo essersi assicurato che Ron fosse profondamente addormentato, sgattaiolò fuori dalla finestra a cavallo della sua scopa resa invisibile dal nastro. Lentamente, per non far scivolare il mantello dell’invisibilità che aveva indossato, si diresse verso la luce che indicava la sala, quindi fece scivolare sotto un battente un’estremità dell’orecchio estensibile, anch’esso reso invisibile, e si fermò a mezz’aria premuto alla parete circostante. Il dibattimento si protrasse per parecchie ore, ma Harry se ne era andato via già da un pezzo, non appena s’era avveduto che i presenti non avevano affatto intenzione di discutere degli incarichi da assegnare ma solo raccontarsi i nuovi sviluppi circa le mosse del nemico.
Le indagini notturne si protrassero per una settimana senza che Harry riuscisse a sapere nulla di utile, era ormai sul punto di rassegnarsi a procedere diversamente, quando la situazione volse finalmente in suo favore.
Quella mattina erano stati svegliati molto presto dall’inatteso rientro di Remus Lupin. Trafelato, era giunto nel salone principale e la confusione che aveva ingenerato la sua venuta era la cagione dell’assieparsi di gente attorno all’uomo. Lupin indossava degli abiti terribilmente logori, stracciati in più punti che lasciavano intravedere vari graffi e contusioni e si mostrava agitato, molto diverso dalla persona riflessiva e quieta quale era; visibilmente aveva avuto uno scontro con qualcuno e ne era sfuggito fortunosamente.
Il signor Weasley prese in mano la situazione, calmando i presenti e scortando personalmente il Mago nell’infermeria che avevano allestita in uno degli scantinati, rimandando a più tardi ogni eventuale spiegazione. Con la stessa efficienza, i ragazzi furono prontamente rispediti di sopra; prima di risalire le scale, Harry notò, con la coda dell’occhio, che una figura ammantata d’azzurro era apparsa nel grande camino.
Appena fu sera, come aveva supposto, i membri dell’Ordine si radunarono nella solita stanza per apprendere i fatti che Lupin aveva riportato. Questi sedeva a capotavola, le ferite erano state curate e si era ripulito e cambiato, non per questo appariva più in salute, tutt’altro. Il suo volto aveva l’aria d’essere invecchiato di parecchi anni e nello sguardo che ogni tanto svagava vacuo per la sala, il tormento traspariva lampante. Quando i convenuti presero posto, il mago diede principio alla sua storia.
“Pochi di voi sanno dove sono stato in questo periodo; beh, naturalmente, la missione era segreta anche se non era stata ritenuta di primaria importanza” si schiarì la voce “si trattava più che altro di seguire delle strane voci che ci segnalavano delle attività sospette nel cuore di Praga e, per la precisione, in alcuni siti storici molto importanti a livello magico”
Nel budello di sotterranei e cupi ipogei che si ramificano, ignoti pressoché a tutti, sotto la città medioevale, una cripta in particolare è degna d’attenzione. Attorno ad essa miti e terrorizzanti vicende s’intrecciano in spirali di storia oscura ed ivi si narra che creature senza nome veglino incessantemente nel buio, fra i ragni e gli esseri dai grandi occhi cechi che brancicano raspando nella polvere, facendo la guardia alla più aberrante delle biblioteche che mente umana abbia concepita. Essa fu il frutto della maniaca opera di Thanos Itzamnar il Negromante, egli stesso artefice dei più orribili quanto leggendari grimori di magia nera, oggetto di mille cerche e di sconsiderate speranze di potere, favoloso lascito di anni remoti e senza legge: i Vangeli Scarlatti.
Harry notò che a quell’ultimo appellativo alcuni erano rabbrividiti lievemente come erano soliti fare al sentir nominare il Signore Oscuro.
Tra i molti tomi di negromanzia e arti oscure che si dicevano celati in quel luogo, essi soli rappresentavano ciò che Voldemort avrebbe maggiormente desiderato, seppure fosse stato così folle da confidare nella loro realtà.
A questo proposito Remus non disse altro, lasciando il ragazzo con un penetrante desiderio di sapere soffocato, suo malgrado, dal bisogno più urgente, d’ascoltare quanto si continuava a dire.
Seppe che una volta giunto a Praga, Lupin s’era dedicato alla ricerca dell’esatta ubicazione dell’ingresso al sepolcro e, una volta localizzato, aveva notato l’effettiva presenza di quella che gli era stata definita come “strana attività”. Si trattava, indubbiamente, di Mangiamorte che dovevano essere intenti allo studio della cripta e dei suoi intricati ambienti sotterranei; ed era altrettanto assiomatico che si trattasse di una spedizione per un compito secondario, una semplice costola nel grande scheletro dei disegni di Voldemort.
La squadra dei mangiamorte era composta da pochi individui e questi sembravano più intellettuali che spietati assassini. Guidato da questa apparenza, Remus aveva deciso di rimanere a sorvegliarli da solo nel caso avessero davvero scoperto qualcosa. Così era avvenuto che il giorno prima, gli Archeologi, come li aveva soprannominati fra se, avevano davvero individuato un passaggio protetto che doveva condurre ad un ulteriore sotterraneo. Proprio allora, mentre lui s’affaticava per seguirli, l’avevano individuato e se li era immediatamente ritrovati addosso. “La battaglia è stata terribile ma, alla fine, un po’ per mia abilità, un po’ perché i miei avversari erano davvero più ricercatori che criminali, sono riuscito a cavarmela quasi tutto intero”
Lupin smise di parlare e tutti tacquero come aspettassero il responso di qualcuno. Harry, incuriosito, s’avvicinò alla finestra e adocchiò, nell’angolo più lontano della stanza, seduto su una grande poltrona, il suo vecchio preside. Era dunque lui che aveva intravisto quella mattina, avvolto nel suo mantello azzurro. Perché non si era fatto vedere per tutta la giornata? Non ebbe il tempo di formulare ipotesi che già l’uomo aveva preso a parlare “Qualcuno deve tornare lì al più presto, anche se sarà necessario prestare la massima attenzione, dato che avranno certamente intensificato la sorveglianza”
I discorsi che seguirono resero finalmente soddisfatto Harry. Fu stabilito che già l’indomani mattina Alastor Moody, che possedeva notevole esperienza nel campo delle arti oscure, e altri tre membri dell’ordine si sarebbero recati a Praga per verificare la situazione e riferire immediatamente. Il ragazzo prese nota mentalmente di ogni dettaglio, ore e luoghi gli erano essenziali.
A quel punto molti, spinti dalla serietà con cui Silente prestava fede a quella che si era sempre ritenuta come una chimera, si accinsero a porgli domande sulla natura di questi Vangeli. Harry, malauguratamente, non poté ascoltare i chiarimenti del vecchio mago, poiché il tempo dell’invisibilità del suo nastro stava per finire e, in ogni caso, aveva d’assolvere un lavoro per conto della sua amata.
Winifred la malandrina
00sabato 6 dicembre 2003 22:58
Ciao Yogh!
Grazie del saluto [SM=g27828] [SM=g27828]
Vedo che sei riapparso dalle scene!
Com va? Spero bene...
Ti avviso subito che non so quando
potrò leggere l'ultimo capitolo...
ho un pò da studiare in questo periodo ^^
Anche se in realtà non vedo l'ora...
ma forse aspetto che fai uscire pure quello dopo,
così me li gusto tutti e due insieme...
Ciao... [SM=g27811] [SM=g27811]
ErynEryn
00domenica 7 dicembre 2003 00:05
sono..senza parole!questa ff è assurda!allora..prima cosa,scrivi benissimo..sul serio,sembra che le tue parole prendano vita per quanto sono espressive e profonde hanno una forza incredibile..è bella,indubbiamente..cupa all'inverosimile eh..però davvero bella!me la sono letta tutta in una volta e mi è passata in un attimo!ma perchè harry fa così?cosa succede??vai avanti devo sapere!i!complimenti!
Eryn

solarbeam
00domenica 7 dicembre 2003 10:46
fantastica!!!!
mi piace un sacco pure a me come scrivi...
una bella storia...non vedo l'ora di conoscere il seguito...
Nicholas Milton
00martedì 9 dicembre 2003 12:31
Complimenti. Veramente i miei complimenti. Ottima la storia e ottime le descrizioni della spirale di follia. Attendo il seguito[SM=g27822]
Si nota una vicinanza agli scritti di Lovecraft (ma questo me lo aspettavo già dal tuo nick [SM=g27828] )e questo rende il tutto più interessante
Yogh-Sothoth
00martedì 9 dicembre 2003 17:50
GRASIEEEEEEEEEEEEEE
[SM=g27828] [SM=g27828] [SM=g27828] [SM=g27837] [SM=g27835] [SM=g27824] [SM=g27823] [SM=g27827] [SM=g27837] [SM=g27837]
Un mega grasie a tutti i commentatori!!!
Per Nicholas: Lovecraft & EA Poe + Stephen King Cosa accadrà nella mia mente perversa con simili accoppiate???[SM=g27828] [SM=g27822] [SM=g27822] [SM=g27822]
Nicholas Milton
00martedì 9 dicembre 2003 17:53
Finchè non ti sei avvicinato troppo ai Giochi di Ruolo niente di preoccupante.... [SM=g27828]
ErynEryn
00martedì 9 dicembre 2003 18:26
Re: GRASIEEEEEEEEEEEEEE

Scritto da: Yogh-Sothoth 09/12/2003 17.50
[SM=g27828] [SM=g27828] [SM=g27828] [SM=g27837] [SM=g27835] [SM=g27824] [SM=g27823] [SM=g27827] [SM=g27837] [SM=g27837]
Un mega grasie a tutti i commentatori!!!
Per Nicholas: Lovecraft & EA Poe + Stephen King Cosa accadrà nella mia mente perversa con simili accoppiate???[SM=g27828] [SM=g27822] [SM=g27822] [SM=g27822]


è vero!appena letta non ci avevo fatto caso alla somiglianza con lovecraft(che adoro),forse perchè ero troppo presa dalla trama! [SM=g27823] e mi piace da impazzire anche king!farai strada ragazzo!i![SM=g27828]
Eryn

Yogh-Sothoth
00martedì 9 dicembre 2003 18:46
^_____^
Con tutti questi complimenti finirò per sentirmi come la panna! Montato!
eheh mo grasie [SM=g27821] [SM=g27822] [SM=g27824] [SM=g27837]
Yogh-Sothoth
00mercoledì 10 dicembre 2003 07:13
12° capitolo!
CAPITOLO 12 – IL DELITTO PERFETTO (seconda parte) – CONVERSAZIONI NELL’OSCURITA’

Rapido tornò nella sua camera e, scivolando silenzioso fra le tenebre sue alleate, richiuse cautamente la finestra alle sue spalle.
Era sul punto di rimettersi a letto, allorché qualcosa l’indusse a bloccarsi. Il sesto senso di cui ogni predatore è provvisto, monito di rischi e preludio d’ogni caccia, aveva emesso un preciso segnale e, questo, urlava pericolo.
Aspettò, fermo al centro della stanza, la bacchetta puntata e sulle labbra la peggiore delle maledizioni. Passati che furono alcuni minuti, cominciò a tranquillizzarsi; dopotutto poteva essersi sbagliato. Ciò che l’aveva messo in allerta era stato qualcosa di percepito a livello inconscio, un irregolarità nel russare di Ron e, forse, un suo movimento furtivo fra le lenzuola, come se, svegliatosi, l’avesse scorto rientrare dalla finestra e, questo, non poteva assolutamente accadere.
Si avvicinò furtivo all’amico, osservandolo attentamente e indugiando a lungo in attesa che questi si tradisse svelando la sua finzione.
Così non fu. La fortuna, o chi per lei, aveva disposto che Ron sarebbe vissuto almeno un altro giorno; tuttavia, presto, si sarebbe dovuto occupare anche di lui in quanto cagione di troppe, superflue, apprensioni. Sorrise; erano davvero in molti quelli presso cui, a breve, avrebbe riscosso i suoi crediti e gli interessi sarebbero stati vertiginosi.
Si distese nel suo giaciglio, finalmente pronto a dare la stretta finale al proprio piano. Chiuse gli occhi e richiamò tutti i suoi pensieri, tutta la sua ingegnosità dispersa in mille ideazioni; ogni sua energia doveva confluire in quell’unico, robusto, impegno che avrebbe gettato un ponte oltre lo sbarramento dello spazio.
Inspiegabile anche per se, prese a sussurrare “Stelle ingorde vigilano i tuoi peccati e nulla sfugge al loro morboso languore; dove ti nascondi, tu che sei metà del mio destino? Il ventre della terra non può celarti laddove gli incubi imperano. Quale marcia luna, stanotte, bagna i tuoi passi?” parole gli erano state suggerite da nessun luogo, un’antica invocazione pervenuta da oltre la sua consapevolezza a rafforzare il cordone che lo legava alla propria stessa nemesi.
Lentamente un’immagine iniziò a mostrarsi; fredda pietra, chiazzata di muschio fetido, s’elevava macigno su macigno, a plasmare titaniche pareti che fuggivano verso l’alto, incurvandosi in acute volte da dove ferrei candelieri proiettavano pallida luce sulla granitica pavimentazione sottostante.
Man, mano che la sua attenzione cresceva, la cicatrice pulsava sempre più intensamente ed infine, quando la visione si mise completamente a fuoco, riconobbe nitidamente la mente dell’altro. Le lezioni di occlumanzia di Piton gli erano state molto utili sotto questo aspetto che, sebbene non gli avessero insegnato come chiudere la sua mente all’Oscuro Signore, gli avevano suggerito come contattarlo in qualunque momento, ovunque esso fosse.
Indirizzò un unico, chiaro, concetto “Domani mattina alle otto, quattro amici di Silente si recheranno alla tomba di Itzamnar, all’ingresso abbandonato, per spiare i tuoi scagnozzi” pochi attimi e una risposta balenò, ostile, nella sua testa dolente per la concentrazione “Potter! Pensavo fossi nascosto in qualche buco a piangere il tuo stupido padrino!” “Sirius non è argomento che ti riguardi, Voldemort, e non dimenticare che sei tu a nasconderti nei tuoi squallidi castelli, non io” la voce dell’Oscuro Signore vibrò lievemente diversa questa volta, come se fosse sorpreso dall’insolenza del ragazzo “Non giocare con me Potter, non è cosa che puoi permetterti” “Ancora una volta sbagli, non sono io quello che vuol giocare, che si diverte a proferirsi conquistatore. Non sono io quello che si trastulla immaginandosi padrone del mondo; sei tu che vuoi giocare all’anticristo” la replica si fece attendere “Sei cambiato Potter, lo vedo nella tua mente…” il ragazzo poté sentire il dubbio e l’esitazione affollare il cervello del lord Oscuro “Cosa vuoi da me? O dovrei chiederti cosa vuole Silente?” “Perseveri nei tuoi errori, dunque? Non è Silente che mi manda, dovresti averlo capito se davvero leggi bene i miei pensieri, come dici. Io ho solo delle informazioni da darti, nulla più” “E così vorresti farmi credere che stai tradendo i tuoi amici?” “Errore, mio caro, ancora una volta, errore!” Harry si trovò a sogghignare compiaciuto, non ricordava fosse così stimolante fronteggiare Voldemort. L’adrenalina l’attraversava eccitandolo quanto più vicino correva sull’orlo del baratro.
Chissà quali sarebbero state le reazioni di quegli ottusi amici che l’opprimevano ogni giorno, se avessero appreso che si dilettava in afone chiacchierate con Voldemort mentre loro riposavano credendosi protetti? Sarebbe riuscito a spaventare finalmente Hermione? A spalancarle gli occhi che voleva sbarrare con dosi di posticcia quotidianità? O l’avrebbe semplicemente persuasa a somministrargli altre attenzioni? Perché non riusciva a dimenticarla, a scordare i sui stupidi buoni consigli? Notti fa aveva assassinato la sua coscienza, spacciandola, inerme, accanto al cadavere di Tonks, sarebbe stato obbligato ad uccidere anche la sua amica che sembrava volesse prenderne il posto?
“Stolto ragazzo! Sei così idiota da usare questo tono con il più grande mago che la storia ricordi? Sei nella mia mente ed io sono nella tua, posso possederti ed annientarti quando voglio!” lo schernì, minaccioso, Voldemort ed Harry ritornò a concentrarsi su di lui “Non riesci proprio a capire? Io non sto tradendo i miei amici, perché questi non sono amici miei! Ti basti questo; se li vuoi sai dove e quando. Non ho tempo da perdere con te!” l’aveva fatto infuriare e il dolore che gli si propagò dalla fronte ne fu testimonianza “Questo ti costerà dei giorni di tortura in più Potter! Non appena ti avrò fra le mani lacrimerai sangue e vomiterai le tue stesse budella prima che io decida di ucciderti! Quanto a lungo pensi di potermi sfuggire?” una curiosa luce guizzò negli occhi del ragazzo “Non molto a lungo; non molto a lungo… Credo che, dopotutto, sarò io a venirti a cercare…” deciso, non sapendo neppure lui come fosse in grado di farlo, troncò di netto il contatto con Voldemort relegandolo agli interrogativi che la strana conversazione, certo, gli aveva fatto sorgere. Harry era sicuro che questi avrebbe cercato di impossessarsi della sua mente non appena si fosse provato a dormire ma non ne sentiva timore, inconsciamente intendeva che la notte, coi suoi incantevoli, terribili, sogni, l’avrebbe custodito.
Aveva assolto il suo compito senza che nessuno potesse mai sospettare di lui, senza che alcuna prova sussistesse ad accusarlo, aveva realizzato, in definitiva, il sogno di ogni criminale e generazioni di giallisti babbani: il delitto perfetto. La tela, che abilmente aveva intessuto, era servita ad intrappolare le vittime da consegnare al grosso insetto affamato che le avrebbe divorate, in sua vece, sebbene non si fidasse punto di colui che gliele aveva servite. “Grosso vecchio ragno matto, sputaveleno! sputaveleno!…” canticchiò Harry, adagiandosi tranquillamente nel sonno.
Forse furono davvero gli incubi a sgomentare lo stesso Voldemort, o forse la mostruosa creatura che aveva attecchito la dove un tempo v’era un anima o la smisurata presunzione che l’aveva avvinto, qualunque fosse il motivo, certo fu che quella notte dormì tranquillo e sazio come non si sentiva da molto tempo; sazio del dolore che stava per causare, sazio della sua molesta astuzia, sazio della nequizia che scatenava contro gli incauti che l’ostacolavano o lo infastidivano.
La mattina si alzò molto tardi, senza meravigliarsi del fatto che Ron non l’avesse chiamato, poteva benissimo figurarsi l’amico che strisciana quieto fuori dalla sranza stando ben attento a non svegliarlo. “Bene” pensò “Dopotutto, non sei così sciocco come credevo. Hai capito di chi devi temere… Buon per te” e, per una volta contento del nuovo giorno che versava vecchie ore nel vaso ricolmo della sua vita, scese dabbasso dove subito Hermione gli si precipitò incontro sventolando, frenetica, delle lettere. Lo stato di euforia di cui era pervaso per il probabile successo del suo piccolo progetto, gli impedì di cavarle gli occhi con la bacchetta come pure quell’espressione di stolta felicità gli aveva ispirato. Si dispose, invece, ad ascoltarla.
“Harry, congratulazioni! E’ meraviglioso! Ce l’hai fatta!” il ragazzo basì a quelle parole; che diavolo andava cianciando? Non poteva conoscere… e se fosse stata a conoscenza, indubbiamente, non ne avrebbe gioito! “Hai passato tutti i GUFO, praticamente a pieni voti! Ti rendi conto? Anche pozioni! Solo in Astronomia e Divinazione non sei andato molto bene… ma non conta nulla” “Che Idiota! Stupido Grandissimo Idiota!” si insultò mentalmente “Come ho potuto immaginare che lei sapesse? Erano solo quegli stupidi voti! Ed ecco perché è così su di giri… Le saranno arrivati anche i suoi sicuramente. Avrà avuto, come minimo, un orgasmo con tutti quegli OTTIMO e MAGNIFICO e VIVA SUA SAPIENZA MISS SOTTUTTO GRANGER!” ridacchiò. Hermione non ci fece caso e continuò sempre sullo stesso tono vagamente esaltato “Potrai intraprendere la carriera da Auror come volevi, è meraviglioso! Avevo tanta paura che avessero tentato d’impedirtelo al ministero! Oh, Harry sono davvero felice per te ed anche io ho passato tutti gli esami a pieni voti. Ehm… a proposito…” era incerta, forse sperava che le chiedesse che carriera voleva seguire ma ad Harry, cui nulla importava della propria di carriera, non passò neppure per la testa di porre tale domanda. La ragazza, avvedendosi che l’amico non aveva intenzione alcuna di interessarsi alle sue scelte, aggiunse con molto meno entusiasmo “Beh… anche io vorrei intraprendere quella professione, sai? L’hanno scorso non ve l’ho voluto dire perché temevo tentaste di impedirmelo, ritenendolo troppo pericoloso… Ron me l’ha chiesto un sacco di volte, ma io mi sono sempre rifiutata” “Oh, non è la sola cosa che Ron vorrebbe da te…” rispose Harry facendo arrossire lievemente la ragazza, indi, troncando di netto quella conversazione che lo tediava terribilmente, s’allontanò dicendole in un bisbiglio “Se davvero vuoi fare l’Auror, sarà meglio che impari alla svelta”
Hermione non si voltò neppure per seguirlo, diede un occhiata a Ginny che, li nei pressi, aveva udito tutto e le si sedette accanto completamente spenta; l’allegria della mattina le era stata raschiata via con ruvida energia da due sole frasi. Perché ultimamente riusciva a stare solo male pensando o stando assieme a lui?
“Stronzo!” sbottò al fine Ginny, che non aveva per nulla digerito il comportamento di Harry nei confronti dell’amica “Hermione tutto… tutto questo gli avrà dato alla testa! So che non è bello da dire, ma secondo me non ha più tutte le rotelle a posto!” Hermione non trovò la forza di replicare, forse perché tutta quella che possedeva l’aveva impiegata per credere nelle sue deliziose illusioni che pure, lo vedeva, si stavano pericolosamente incrinando minacciando di crollarle addosso schiacciandola, fra mielati frammenti di realtà fittizie.
Si disse che avrebbe dovuto concedergli un po’ di respiro, come già facevano quasi tutti, avendo capitolo prima e meglio di lei che era necessario non assillarlo continuamente. Facendo violenza a se stessa, s’impose di rimanere un po’ discosta, nella speranza che trovasse in se l’energia che non voleva in prestito dagli altri. Una volta ancora ripensò con ansia al ritorno ad Hogwards e ricordò i primi due anni, quando ancora la loro innocenza non si era completamente lordata del fango dell’esistenza. “Spensierati e incoscienti… Infondo, sono passati solo quattro anni! Perché mi sento come se ne avessi mille? Sto, davvero, perdendo la mia razionalità…”
Harry dovette pazientare finché una nuova notte velasse la canicola diurna, per avere le notizie che agognava, assetato, in riva ai flutti degli eventi. Una vecchia pendola, da qualche parte nel palazzo, aveva battuto da poco le tre allorché un grido destò ogni abitante. Un urlo di dolore e d’agonia; la morte, da li a poco, avrebbe vibrato la sua falce, bruna dai molti coaguli. Harry lo seppe nello stesso istante in cui udì le prime note di quel suono. Riconosceva la morte e la sua suadente voce; tempo fa l’aveva guardata negli occhi e li aveva visti luccicare smeraldini e incantevoli e di lei s’era invaghito perdutamente, godendo della sua presenza e invidiandone il sommo potere.
Fu il primo a scendere al pian terreno dove, subito, scorse l’imminente vittima della sua amica speciale. Una sagoma tumefatta e sanguinante, rantolava sul grande tappeto arabescato che antistava l’ingresso, stringendo una scopa malamente ridotta. Il ragazzo vi riconobbe uno dei tre compagni di Moody ed un palpito d’esultanza sommosse il suo cuore. Presto fu attorniato da altre persone che tentavano di prestar soccorso, inutilmente, al mago morente. In pochi minuti, infatti, Reuel –così si chiamava l’uomo- spirò fra lo sgomento generale, dopo aver articolato faticosamente “c.. ci aspettavano era… era… tutti morti”. Harry trattenne a stento un ruggito di vittoria. Ovunque si voltasse, leggeva il suo trionfo scolpito in sfregi eterogenei sulle facce assonnati e atterriti dei presenti.
Qualcos’altro stava, tuttavia, per occorrere. Nel giro di qualche momento una lieve esalazione biancastra principiò a fuoriuscire dalle labbra schiuse del cadavere, addensandosi fino a prendere una forma quasi umana. Dejavù.
Poco dopo, dall’ombra che il corpo proiettava sulla pavimentazione, una nera figura si levò materializzandosi e giganteggiando sull’altra, subito afferrandola in un mortifero abbraccio. Questa volta non ebbe luogo alcuna battaglia, il tempo d’un respiro e l’essere luminescente era stato inghiottito.
“Le ombre non ti seguono senza motivo” rammentò “Già…” Harry fece un passo indietro, ben consapevole che nessuno a parte lui poteva scorgere quanto accadeva, un rivolo di sudore gli rotolò giù lungo la guancia. Era in imbarazzo per la scoperta e per delle emozioni che riteneva ormai estirpate e che pure si dibattevano tuttora ribelli dentro di lui. E intanto che si crucciava in queste riflessioni, la negra presenza si girò dalla sua parte, rimanendo a fissarlo per qualche tempo. Poi, inaspettatamente, distese le labbra in una sorta d’indefinibile sorriso, iniziando a recitare una strascicata salmodia “Due sono le porte nel mondo che s’abbuia.
Dell’incubo si nomina la prima;
per quella l’araldo scoverà la via.
Della notte s’appella la seconda;
al regno dell’ombra essa trasporta.
Viene l’araldo, risorge l’ombra;
la terra si scuote, il mare ribolle.
La fine è vicina, il mese s’appressa;
gioisce la morte nell’aria sanguigna;
demoni danzano sulla tomba di Dio.”
Si fermò e, avvicinandosi, riprese “Ti porto il saluto della legione, Harry Potter, e il vaticinio della tua rinascita oltre l’olocausto del mondo” e, così parlando, svanì accennando un rigido inchino.
Ora conosceva gli angeli d’ombra, i neri custodi della nostra anima, fedeli ombre che mai ci abbandonano perseguendoci ad ogni passo ed ogni cosa possiede il proprio tenebroso guardiano, poiché tutto ritorna all’ombra, prima o poi. “Capisco” sussurrò e risalì in camera a dormire, nuovamente appagato.
ErynEryn
00mercoledì 10 dicembre 2003 12:32
uaaahhh!ma perchè harry è così cattivo??che succede?[SM=g27813] però è splendida..scrivi troppo bene! continua!
Eryn

Nicholas Milton
00mercoledì 10 dicembre 2003 13:20
Si si si... mipiace mi piace mi piace...[SM=g27827] [SM=g27827]
Yogh-Sothoth
00mercoledì 10 dicembre 2003 15:40
[SM=g27837] [SM=g27837] [SM=g27837] [SM=g27837] [SM=g27837] [SM=g27837]
Per Eryn: Cattivo Harry? Ma se ancora non ha fatto nulla?!?!? ihihihihih[SM=g27822] [SM=g27830] [SM=g27829] [SM=g27822]
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