PANTHEON BABILONESE E ASSIRO: Ishtar / Inanna

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Alhambra.7
00martedì 11 settembre 2007 23:26
•••Ishtar•••


Ishtar (italianizz. Istar) è la principale divinità femminile del pantheon babilonese e assiro, e il suo culto si estese dai paesi mesopotanici a quelli circonvicini.

Suoi attributi erano l'amore, sia sacro che profano e la guerra; nel culto astrale s'identificava col pianeta Venere. Assimilata alla sumerica Inanna, dea della terra madre feconda, divenne protagonista di numerosi poemi epico-mitologici, tra cui quello della sua discesa agli Inferi. E' questa una bella storia che ricorda l'alternarsi delle stagioni sulla terra ed il perpetuo ciclo della vita.

Ishtar scende agli Inferi per strappare loro il suo amato Tamuz; e davanti all'ingresso del mondo delle ombre minaccia, per poter entrare, le più gravi calamità e rovine, tanto che la sorella, dea dei morti, dà ordine di farla passare.

Impone tuttavia che tutti gli ornamenti con i quali si presentava sulla terra le vengano tolti, poiché nel mondo degli Inferi si può accedere soltanto se nudi e senza armi di difesa ed offesa: il guardiano la priva della corona che ha sul capo, poi degli orecchini, della collana di perle e dello splendente pettorale d'oro e di pietre preziose, infine le toglie la cintura che costituisce il simbolo del perpetuarsi della vita; per ultimi gli anelli e l'abito.

Mentre Ishtar si trova negli Inferi, la terra isterilisce, non produce frutti, gli animali non procreano e tutto è desolazione. La dea degli Inferi, per sconfiggere Isthar, le manda contro ogni genere di spiriti malefici recanti malattie e distruzione, ma Ishtar è anche dea della guerra: nulla la sorella può contro di lei.

Gli dei, comunque, non vogliono che Ishtar resti prigioniera degli Inferi e la dea dei morti è costretta ad accettare le condizioni che le vengono imposte: dopo aver chiamato a raccolta il tribunale infernale, restituisce la vita a Ishtar e le concede di riportare sulla terra Tamuz; le rende tutti gli ornamenti mentre a Tamuz viene dato un flauto di lapislazzuli, perché possa esprimere il tripudio del ritorno alla vita.


ISHTAR
Il racconto della discesa della dea Ishtar nell'oltretomba, in lingua accadica ci è pervenuto in diverse redazioni, principalmente da siti archeologici assiri (Assur e Ninive), tutte frammentarie, datate a partire dalla fine del II millennio A.C.. Il testo deriva sicuramente da un poema più lungo e più antico in ligua sumera (probabilmente risalente al III millennio o all'inizio del II) che ha come protagonista la dea Inanna, omologa di Ishtar nel pantheon sumero. Rispetto alla versione sumera vi sono però importanti variazioni nello stile della narrazione e nella caratterizzazione dei personaggi, a cominciare dalla protagonista.

Il poema narra come la dea Ishtar scenda nell'oltretomba (Kurnugea o Kurnugi, la terra del non ritorno), anche se i testi superstiti non ce ne forniscono la ragione (come per la versione sumera).

Ishtar arriva alle porte dell'oltretomba e chiama i guardiani a gran voce, minacciando, se non gli fosse aperto, di fracassare la porta e di far uscire da Kurnugi i morti, che avrebbero divorato i vivi (minacciando in tal modo di sovvertire l'ordine del mondo).

I guardiani avvertono la signora dell'oltretomba, Ereshkigal, sorella di Ishtar. Questa, sentendosi minacciata, decide di attirarla in trappola. Ishtar viene fatta entrare per le sette porte delgli inferi, e a ciascuna porta viene spogliata gradualmente delle sue vesti e dei suoi gioielli (che simboleggiano il suo potere). Alla fine, nuda, viene fatta entrare nella sala del trono di Ereshkigal. Quest'ultima ordina al suo ministro, Namtar (il destino) di mandare contro Ishtar sessanta malattie, per ogni parte del suo corpo.

La prigionia di Ishtar ha l'effetto di interrompere ogni attività di generazione nel mondo dei viventi. Questo stato di cose preoccupa i grandi dei, e il dio Ea trova una soluzione: crea un giovane di grande bellezza e lo invia a Ereshkigal per affascinarla e indurla a più miti consigli. Il piano sembra fallire (il testo è mutilo), perché Ereshkigal, pur dapprima affascinata, inizia a maledire la creatura di Ea. Alla fine però concede la grazia a Ishtar e ordina a Namtar di spruzzarla con l'acqua della vita. Ishtar risale al mondo dei viventi in un brano simmetrico nel quale viene rivestita delle sue vesti e dei suoi ornamenti. Tuttavia, in cambio della propria salvezza, deve lasciare nell'oltretomba il suo amante Tammuz. Questi ritornerà sulla terra ogni anno per un solo giorno per i rituali a lui consacrati.



Ishtar, in sumerico Inanna, è probabilmente la divinità più ammaliante e controversa. Ella visse nel corso dei secoli una profonda metamorfosi. Da dea protettrice degli antichi centri rurali protourbani sumerici (come Eridu e Uruk) passò a crudele emblema dello sviluppo cittadino imperiale, divenendo la dea più popolare dell'intera Asia occidentale. Presso gli assiri, in veste di dea della guerra, era popolarissima e godeva di numerosi appellativi: a Ninive era venerata col nome di Mullissu, ad Arbela col nome di Shatru, a Kalhu con l'appellativo di Bid-Kidmuri.

Il nome Ishtar deriva dal semitico Attar/Attart (divinità androgina associata al pianeta Venere). Fu nota come Shaushga tra gli ittiti, Ashtoreth fra gli ebrei, Atar-Ata fra i fenici (moglie di Baal, signore dell'olimpo fenicio) e Astarte tra i greci (3). Erodoto riferisce che Militta era il nome assiro di Afrodite (Storie, vol. I § 199).

E' figlia di An e Ki, ma in epoca babilonese Isthar è figlia di Sin, dio lunare, sorella gemella di Shamash, il Sole, e sorella della temutissima Ereshkigal, matrona dell'oltretomba.

Già nei miti più arcaici si riflettono le sue qualità ed attitudini. Per esempio Ishtar ha l’hobby di andare in visita presso altre divinità, cacciandosi spesso nei guai ma uscendone sempre vincitrice (visita a Enki, visita a Ereshkigal).

Nell’antichissimo mito di Inanna ed Enki (che trovate in Bot 1992, pp. 236-266) si trasfigura il passaggio del patrimonio culturale dei primi nuclei urbani alle nuove città-stato sumeriche. La dea, non paga della rozza vita della steppa si converte alla vita cittadina ottenendo da Enki - protettore di Eridu, città primordiale del 4000 a.C. - i “poteri”. Questi poteri altro non sono che le basi della vita culturale cittadina: la pastorizia, la scienza scribale, l’artigianato, le regole di comportamento.

TAMMUZ
Nel mito Ishtar ha un figlio Tammuz che era la vegetazione di tutta la terra, chiamato “il verde”.
Il mito narra che giunto in età virile diventa amante della madre, ma poi Ishtar, che ha potere, come la luna, di vita e di morte, lo condanna alla morte e durante il solstizio estivo Tammuz muore, scende nell’oltretomba. Ishtar e tutte le donne prendono il lutto per lui e Ishtar intraprende il viaggio pericoloso nella terra del non ritorno per liberarlo, Tammuz resuscita.

La visita agli Inferi
Dumuzi non è il solo giocattolo nelle mani di Inanna. Anche Enki, stordito dalla birra, cede al fascino della dea offrendole numerosi poteri divini. Vediamone alcuni:

Alla santa Inanna, mia figlia, offro,
senza che nulla mi trattenga,
la Veridicità, la Discesa agli Inferi,
il Ritorno dagli Inferi, il Travestitismo,
l’abito policromo, la capigliatura annodata sulla nuca,
l’erotismo, il baciare amoroso,
l’arte del canto e l’ufficio degli Antichi…
(mito di Inanna e Enki, ibid. pp.238-239)

Notate che Inanna apprende da Enki l’arte del ritorno dagli Inferi. E' forse da qui che Jan Kott ha pensato di associare alla dea la figura di Persefone.
Insieme alla tavoletta del diluvio, la visita agli Inferi di Ishtar è uno dei primi miti scoperti dagli assiriologi nell'800. Della sua importanza se ne accorse nel 1872 George Smith che lo usò per colmare una lacuna dell'epopea di Gilgamesh. Infatti egli disponeva della tav. VI ma non della VII tavola. L'argomento della VI è l'incontro di Gilgamesh e Ishtar dove l'eroe oltraggia la dea ricordandole tutti i suoi amanti finiti in disgrazia. Un pretesto per accennare ad altri miti che vedono protagonista Ishtar.

Visto che la saga era già ricca di interpolazioni, Smith ipotizzò che la VII tavola contenesse anche la "discesa agli inferi". Oggi sappiamo che la tav. VII parla d'altro. Ma possiamo perdonare tranquillamente a Smith questa sbavatura nella sua geniale ricostruzione dell'epopea. Del resto la "discesa" rimane una delle più creazioni di maggior successo della letteratura mesopotamica. La prima versione sumerica (con Inanna protagonista, ca. 2000 a.C.) subì un rifacimento in epoca babilonese (con Ishtar protagonista) che la arricchì drammaturgicamente con l'introduzione della figura di Geshtinanna.

La storia rivela somiglianze col mito di Nergal e Ereshkigal, con la tav. XII e con il poemetto sumerico Enkidu agli Inferi. In più è ripresa nella mitologia greca nella vicenda di Adone e Persefone e quella di Alcesti e Admeto.

Ecco la storia: Ereshkigal, signora dell'oltretomba, ha appena perduto il marito Gugalanna (il Toro Celeste) e Ishtar si reca a portarle condoglianze. Nella discesa agli Inferi Ereshkigal deve liberarsi di tutte le sue armi d'offesa e di difesa. Resasi inerme viene imprigionata da Ereshkigal che evidentemente non aveva gradito la visita (in fondo, se interpretiamo il Gilgamesh, è a causa di Ishtar che il Toro Celeste è trascinato in uno scontro mortale).

L'assenza della dea della procreazione provoca il blocco delle nascite sulla Terra. Gli Annunaki intervengono ma neppure loro possono violare una regola ferrea degli Inferi: ogni anima che torna in vita deve essere sostituita agli Inferi.

Così Ishtar offre in cambio del proprio rilascio il povero Dumuzi. Non senza ironia apprendiamo che la dea preferisce disfarsi dell'amante piuttosto che sacrificare l'ancella personale, il menestrello e il capitano delle guardie. Pare però perché Dumuzi venisse scoperto felice e beato fra le donne, per nulla preoccupato della sorte della sua amata (p. 141 Sap 1996). Naturalmente Dumuzi non ne vuole sapere di finire sottoterra e si nasconde. Vengono dunque a cercarlo demoni, spietati come la loro padrona Ereshkigal:

... demoni piccoli, come giunchi appena spuntati, demoni grossi come canne mature, un demone davanti con in mano un bastone, un demone dietro con la mazza frantuma-cranio alla cintura. Quelli di questa razza disdegnano le offerte di cibo, disdegnano le bevande degli uomini, nessuna cosa lieta li attrae, nessuna pietà li commuove, senza gioia e senza dolore strappano la sposa dalle braccia dello sposo, il neonato dal seno della madre. (p. 30, Pon 2000)

Dumuzi non può sfuggire a simili predatori ma, colpo di scena, emerge la commovente figura della sorella Geshtinanna. Costei intercede per il fratello ottenendo che venga trattenuto nel "mondo di sotto" solo sei mesi l'anno ed offrendosi di sostituirlo agli inferi per gli altri sei. Poiché Dumuzi è dio della vegetazione degli animali d'allevamento, col suo ritorno le piante possono rifiorire e gli animali tornare a procreare.

Possiamo ora spendere qualche parola sulle similitudini di questo bellissimo mito con la tradizione greca. Ishtar può essere assimilata a Admeto, re di Fere, che grazie all'intervento sia divino (il dio Apollo) sia umano (la moglie Alcesti) riesce a salvare la pelle dagli Inferi. Dumuzi (ma anche Geshtinanna) ispirano Alcesti, potente figura femminile che si sacrifica nel nome dell'amor coniugale. Vedremo che anche Ninlil, moglie di Enlil scende agli inferi per amore del marito.

Il saliscendi a cui Dumuzi deve sottostare nel corso dell'anno lo avvicina certamente ad Adone (il cui ritorno segna l'inizio della primavera). Geshtinanna inoltre è vicina a molte figure tragiche femminili sacrificate forse, più che per giuste cause, per il meschino attaccamento alla vita dei loro uomini: Ifigenia, Polissena (Ecuba), Ctonia (Eretteo), Macaria (Eraclidi).

Se ci pensate un attimo questo mito sostanzialmente si occupa della fedeltà come virtù, tema comune al Simposio di Platone al quale idealmente conduce.

Ma anche i demoni che acciuffano Dumuzi hanno un loro epigono greco. Thanatos, figlio della Notte, è infatti il demone alato che viene a prendere Alcesti per portarla nell'Ade. Il modus operandi di Thanatos è molto vicino a quello del demone-aquila Anzu che incastra Enkidu nella Casa della Polvere (tav. VII).

Un ultima nota su questo straordinario mito è il corto circuito crono-logico che nemmeno Gödel potrebbe risolvere:

La discesa di Inanna agli inferi
Il testo più lungo e complesso su Inanna giunto fino a noi è il poema "La discesa di Inanna", conosciuto per la maggior parte da tavolette rinvenute negli scavi archeologici eseguiti tra il 1889 e il 1900 sulle rovine della città di Nippur, nel sud della Mesopotamia (attuale Irak).

Il mito narra come Inanna scenda nell'oltretomba (ma il testo superstite non fornisce la ragione del viaggio). Prende con se sette Me (personificati come accessori e capi di vestiario della dea), parte con la fida ancella Ninshubur e bussa alle porte della "Terra" (termine con cui comunemente viene identificato l'oltretomba). Le viene chiesto da parte di Neti, il custode, il motivo di un tale viaggio. Inanna spiega che è venuta per rendere omaggio a sua sorella Ereshkigal, signora dell'oltretomba, e a portarle le sue condoglianze per la morte di Gugalanna, suo marito, il "toro del cielo" (ucciso da Gilgamesh nell'epopea legata all'eroe). Viene fatta entrare sola e passa attraverso sette porte, ove le vengono sottratti progressivamente i Me. Infine, nuda, viene introdotta davanti ad Ereshkigal e agli Anunnaki (i giudici degli inferi in questa versione del mito), che la condannano e la mettono a morte. Ninshubur va a chiedere aiuto per la padrona e la sua supplica trova ascolto presso Enki. Il dio modella con lo "sporco" tratto da sotto le sue unghie due creature "nè femmina nè maschio" (che non potendo generare, non sono soggette al potere della morte): il Kurgarra e il Galatur. Costoro volano nell'oltretomba e circuiscono Ereshkigal con le loro lusinghe fino a che ella non promette loro come premio qualunque cosa vogliano. I due chiedono il cadavere di Inanna e, avutolo, fanno risorgere la dea aspergendola del cibo e dell'acqua della vita.

Inanna però non può tornare dagli inferi senza fornire qualcuno che la sostituisca. I Galla (demoni del destino) le propongono diversi sostituti: Ninshubur, i suoi due figli Shara e Lulal, ma la dea rifiuta di condannare a morte queste persone rimastele fedeli anche nel periodo della sua morte. Per ultimo, la conducono dal suo sposo Dumuzi. Dumuzi viene sorpreso mentre siede soddisfatto sul suo trono, sfoggiando ricche vesti, senza portare il lutto per Inanna. Presa dall'ira, Inanna lo consegna ai Galla. Dumuzi riesce a fuggire per opera del dio Utu, ma viene ripreso dopo un lungo inseguimento e condotto agli inferi. La sorella di Dumuzi, Geshtinanna, va alla sua ricerca e le sue lacrime impietosiscono Inanna, che decide di accompagnarla. La dea e la mortale vagano a lungo, finché una "mosca sacra" (sorta di deus ex machina) dice loro dove si trova Dumuzi: in Arali, luogo di confine tra il mondo degli uomini e gli inferi, dove viene raggiunto infine da Inanna e Geshtinanna. Tuttavia, per la legge dell'oltretomba, Dumuzi e Geshtinanna devono risiedere a turno per metà dell'anno nel regno di Ereshkigal.

Il mito è generalmente interpretato come una raffigurazione del ciclo della vegetazione. Dumuzi (divinità della fertilità), giace per sei mesi con Inanna (che rappresenta la potenza della generazione) e per sei mesi con la sorella "oscura" di lei, Ereshkigal (il letargo invernale, rappresentato simbolicamente dalla morte). Il dualismo Dumuzi-Geshtinanna viene messo in relazione con l'alternarsi stagionale dei frutti della terra (le messi per Dumuzi e la vite per Geshtinanna).

Non mancano peraltro le interpretazioni del mito in chiave psicoanalitica. In questa accezione, la discesa di Inanna è spiegata con la necessità per la psiche di confrontarsi con il proprio "lato oscuro" (Ereshkigal), connesso all'istintualità cieca e alla distruttività (la "pulsione di morte" di Freud), per raggiungere l'equilibrio e la completezza.





[modifica] Inanna alle porte dell'oltretomba
Quando Inanna arrivò alle prime porte dell'oltretomba,

Bussò sonoramente,

Gridando con veemenza:

<< Apri la porta, custode!

Apri la porta, Neti!

Entrerò solo io! >>


Le chiese Neti, custode sommo del Kur:

<< Chi sei? >>

Essa rispose:

<< Io sono Inanna, la regina del cielo,

Diretta verso Oriente >>.


Le disse Neti:

<< Se tu sei davvero Inanna, la regina del cielo,

Diretta verso Oriente,

Perché il tuo cuore ti ha messo sul cammino

Da cui nessuno mai torna? >>


Rispose Inanna:

<< Per... Ereshkigal, mia sorella maggiore.

Gugalanna, suo sposo, Toro del Cielo, è morto.

sono venuta per i riti funebri.

Ora la birra dei suoi riti funebri colmi la coppa.

Così sia fatto >>.


Neti parlò:

<< Resta qui, Inanna, voglio parlare con la mia regina.

Le porterò il tuo messaggio >>.

....


La storia di Gilgamesh
Gilgamesh, per due terzi divino e per un terzo umano, è un sovrano tirannico che costringe i giovani guerrieri della sua città a continui e sfiancanti esercizi, finché non incontra Enkidu, creatura selvaggia plasmata dagli dei per rispondere alle preghiere dei cittadini di Uruk. Gilgamesh ed Enkidu lottano selvaggiamente, durante la festa di Ishkarra (nella quale alcuni studiosi ritengono di ravvisare una sorta di ius primae noctis). Non riuscendo a prevalere nonostante la sua forza leggendaria, Gilgamesh, colpito dal valore del suo avversario, stringe con lui un solenne patto d'amicizia.

I due amici si avventurano fuori dalla città verso la foresta dei cedri dove il terribile mostro Humbaba sta a guardia dei pregiati alberi. Il loro scopo è tagliare i tronchi più belli per portarli ad Uruk ma vengono scoperti dal mostro. Uniti combattono e sconfiggono la bestia e così i due eroi trionfanti fanno ritorno ad Uruk con il prezioso bottino, dove la dea Ishtar, impressionata dalla bellezza ed dal valore di Gilgamesh, gli propone di diventare suo sposo, ma riceve un netto rifiuto (motivato dalla discontinuità dell'amore della dea, che era solita condannare in un modo o in un altro i suoi amanti). Ella, quindi, chiede a suo padre Anu di affidarle il Toro celeste, che scatena per le strade di Uruk. Enkidu affronta due volte il toro, dapprima da solo, e poi con l'aiuto di Gilgamesh, e durante il combattimento afferra il toro per la coda mentre Gilgamesh lo colpisce con la sua spada tra le corna. I due eroi trionfano, forti del loro valore. Enkidu tuttavia per volontà degli dei muore a seguito di una malattia e Gilgamesh, per la prima volta è affranto dal dolore.

Sconvolto egli parte alla ricerca dell'unico uomo che conosce il segreto dell'immortalità: Utnapishtim, il lontano, antico re di Shuruppak e sopravvissuto al diluvio, ma quando dopo numerose peripezie riesce ad incontrarlo, nella terra di Dilmun - là dove sorge il sole - deve arrendersi all'evidenza: le circostanze che hanno dato al suo antenato l'immortalità sono eccezionali e non ripetibili. Riceve però indicazioni su come raccogliere in fondo al mare un'erba simile al biancospino il cui nome è vecchio-ritorna-giovane, che intende portare al suo popolo, ma dopo essere riuscito a coglierla, immergendosi con l'aiuto del battelliere Urshanabi, mentre si riposa accanto a un ruscello un serpente la porta via e dopo averla mangiata, cambia pelle.
Gilgamesh fa quindi ritorno ad Uruk, e qui l'epopea babilonese classica si interrompe.


Nella dodicesima tavoletta, incompleta, del testo ninivita, viene però riportato un episodio che per le sue peculiarità linguistiche e formali e per la scarsa coerenza con il resto della narrazione appare come un mito a sé stante, con Gilgamesh ed Enkidu come protagonisti. Vi si narra della perdita da parte di Gilgamesh di due oggetti simbolici di grande valore, un pukku e un mekku, nella "Terra"(ovvero nell'oltretomba). Si tende ad identificare questi due oggetti rispettivamente con un tamburo e una bacchetta, strumenti musicali di carattere sacro nell'antica Mesopotamia. Enkidu si offre di discendere agli inferi per ricuperarli, ma nel farlo non segue i consigli elargitigli da Gilgamesh per poter ritornare alla luce, rimanendo prigioniero dell'oltretomba. Gilgamesh prega il dio Enki di poter ancora un'ultima volta parlare ad Enkidu, e viene esaudito: Enki intercede presso Nergal, signore dell'oltretomba, che permette all'anima di Enkidu di uscire temporaneamente dal Kur. Nell'ultima parte del testo, fortemente lacunosa, Enkidu racconta all'amico diletto la sua esperienza dell'al di là, dipinto nei termini cupi e privi di speranza tipici della letteratura sumerica e mesopotamica.

La dodicesima tavoletta di Ninive fa parte in realtà di un mito sumerico: "Gilgamesh e l'albero di Huluppu", noto in altre versioni. In esso Gilgamesh, dopo aver abbattuto un albero gigantesco, costruisce con il suo legno un seggio per sé e la dea Inanna (Ishtar), il pukku e il mekku (in questa versione del mito quindi Gilgamesh corrisponde all'amore della dea).
Daevayasna
00lunedì 9 maggio 2011 23:27
Interessante riguardo Ishtar nell'aspetto che viene descritto in Gilgamesh è il fatto che appaia (e non solo qui) come una divinità dell'Amore, ma non fecondo. Tutti i suoi amanti sono in qualche modo correlati agli alberi o all'agricoltura e tutti quanti vengono condannati dalla dea; le stesse profferte amorose che fa all'eroe Gilgamesh nascondono la promessa di farlo diventare re degli Inferi, ed è per questo motivo che egli la rifiuta sdegnato.
Ecco, questo aspetto di "infecondità" mi ha sempre lasciata perplessa...
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