è la cosa più bella. devo dire che per me trattasi di condizione esistenziale.
sono partito per amore, per sofferenza, per necessità, per gioia, per noia.
ma, come dice il poeta, le vere partenze sono quelle per le quali uno non riesce a trovare alcuna motivazione. parti e basta.
la prima volta che lessi (la seconda provai a leggerla in lingua originale) On The Road di Jack "ti jean" Kerouac, ebbi come una rivelazione. On The Road fu per me ciò che l'Evangelo fu per i primi cristiani. in realtà il libro mi colpì tantissimo non perchè affermò una verità inaudita, ma perchè - al contrario - coincise, mettendole in luce, con delle sensazioni già presenti dentro il mio animo da nomade.
uno nasce quando è molto piccolo e quando ha già dentro di sè tutte le caratteristiche del suo spirito.
sono un fatalista, platonico e luterano.
in questi giorni avevo avuto una proposta lavorativa da un conoscente, a Bologna (che detto per inciso fondamentalmente resta la mia città). ho lavorato per 2 giorni e mezzo e mi è stato detto che era meglio se ripassavo passata l'incipiente crisi nella quale, come tante altre , l'azienda si stava impelagando.
ne ho preso atto e ho maturato la decisione di partire. ecco un esempio del meccanismo psicologico che può portare alle partenze.
certo sono lontani i tempi dei vagabondaggi: adesso che non posso più definirmi un ragazzino per quanto talvolta esteriormente lo sembri, non partirei mai senza una meta più o meno delineata. ma anche a 18 anni non ho mai realmente vagabondato.
dopo anni di relazionamenti posso vantare una buona cerchia di persone disposte ad accogliermi. lo sono perchè io, nei loro riguardi, lo sono sempre stato, e mia madre - poveretta- ne sa qualcosa.
se non accogli non sarai mai accolto.
ma in Grecia non ci torno.