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A UN MORTO PREMATURO

Oh, il nero angelo che uscì lieve dall'interno dell'albero,
quando noi eravamo miti compagni di gioco la sera,
al margine dell'azzurrina fontana.
Quieto era il nostro passo, gli occhi rotondi nella bruna frescura dell'autunno,
oh, la purpurea dolcezza delle stelle.

Ma quello scendeva i gradini di pietra del Mönchsberg,
un azzurro sorriso nel volto e stranamente avviluppato
nella sua più quieta infanzia e morì;
e nel giardino rimase l'argenteo volto dell'amico,
origliando nel fogliame o nell'antico petrame.

L'anima cantava la morte, il verde sfacimento della carne
ed era il mormorio del bosco,
il fervido lamento della fiera.
Sempre risuonavano da crepuscolari torri le azzurre campane della sera.

Venne l'ora che quello le ombre nel purpureo sole vide,
le ombre della putredine nello spoglio fogliame;
sera, quando al muro crepuscolare cantò il merlo,
lo spirito del precocemente morto nella quieta stanza apparve.

Oh, il sangue che dalla gola del risonante scorre,
azzurro fiore; oh le ardenti lacrime
piante nella notte.

Dorata nuvola e il tempo. Nella solitaria stanza
inviti a ospite più spesso il morto,
vagando sotto gli olmi in confidente colloquio giù lungo il fiume.
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Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.
Martha Medeiros