00 03/11/2009 13:05
Ho provato a sistemare un pochino il pezzo, l'ho allungato e credo approfondito seguendo l'idea di Denilson

La levatrice le aveva consigliato di fare qualsiasi cosa le piacesse. Mangiare, dormire, passeggiare, rilassarsi, essere il più possibile serena. Per quello ora, nonostante l'ora tarda, passeggiava avvolta nel giaccone di piume, per la strada. Di fianco a lei, il marito con un'aria sconsolata. Stava già per addormentarsi nel tepore del divano quando lei aveva deciso che doveva uscire e “sentire l'aria di neve che le raffreddava il naso”. Da quando aveva quel pancione enorme puntato addosso non riusciva più a dire di no a niente e così si era alzato sapendo di non aver altra via di fuga. Ora le passeggiava stancamente a fianco, sperando che quell'aria di neve, che tanto piaceva alla moglie, si trasformasse nell'aria calda del suo appartamento, e il cappotto nelle morbide coperte del suo letto.
“Ci siamo” disse lei ad un certo punto con la tranquillità che lui le riconosceva in ogni situazione.
E così passarono come attimi quei minuti che dal freddo della strada li avevano portati all'ospedale, e già erano diventati ricordi sfuocati quei momenti in cui le contrazioni si facevano sempre più frequenti, il dolore di lei aumentava e l'impotenza di lui cresceva. Un parto naturale, con un travaglio non troppo doloroso. Lui non era voluto entrare, e a lei non era dispiaciuto più di tanto. Aveva già troppa gente intorno, sconosciuti che la fissavano e le parlavano, in un momento in cui avrebbe voluto solo concentrarsi sul suo dolore. La presenza del marito l'avrebbe forse innervosita maggiormente, vedere il suo imbarazzo, osservarlo lì in un ambiente che non era il suo, magari ad intralciare il medico o l'infermiera. Era un momento in cui non sentiva altro se non dolore, dolore e ancora dolore, fino al primo gemito, ad una vocina che si faceva strada nell'aria di medicinale della sala. L'infermiera pronunciò le parole “è una bambina” e lei col cuore in gola, la faccia sudata e gli occhi lucidi stese le mani a prenderla, ripetendo incessantemente “è veramente una bambina, una bambina” e, alzando l'asciugamano in cui era avvolta, controllò che fosse proprio così. Mentre la piccola sembrava allargare le braccia per stringere la sua mamma, e la guardava e la annusava per imprimerla nelle memoria per sempre.
Ora l'unica cosa che rimaneva era lo sguardo di quegli occhi neri, un po' seri, che ti fissavano come se potessero imparare a conoscerti solo da un'occhiata. L'espressione era un po' grave, ma qualcosa di speciale ti spingeva a non staccarti da quel viso, come se non fosse necessario essere particolarmente belli o teneri, bastava solo perdersi nel fondo di quegli occhi per sentirsi amati, sereni e protetti.
Per lui erano stati quegli occhi il primo contatto con la figlia. Durante tutta la gravidanza aveva passato momenti di ansia, gioia, sconforto, solitudine, impotenza, talvolta insofferenza. Non poteva partecipare se non passivamente a tutto quello che accadeva alla moglie. Non era come stare accanto a qualcuno che non sta bene per aiutarlo, era sapere che quell'esserino dentro il pancione era anche tuo, ma non poter far niente di concreto per far parte di quel microcosmo. Aspettava il momento in cui sarebbe uscito per ristabilire l'equilibrio che considerava naturale, ma si rese ben presto conto che non sarebbe stato così almeno per un po'.
Autoescluso dalla sala, aveva paura che la vista del parto lo avrebbe impressionato, aspettava il momento di stringere tra le braccia la bambina e quando avvenne si sentì ancora più piccolo, insicuro e impaurito. Sentiva che il suo compito era proteggerla e lo assalì la paura di non essere all'altezza di tale incarico. E i primi giorni di quella vita gli scorrevano via, come se fosse invisibile al mondo. Era ovvio che nessuno si interessasse a lui, ma sopportava ben poco il sentirsi così fuori posto nella sua casa, e nella sua famiglia. Anche le cose più semplici diventavano difficili, avrebbe potuto uscire di casa per ore e con tutto quel trambusto di suocere, amiche, vicine di casa, nessuno se ne sarebbe accorto, ma nonostante questo se ne rimaneva lì, solo perché per qualche attimo gli era concesso di fissare quel sonno quieto, che era sottolineato da una bocca piccola e distesa, dalle palpebre rosate, dalle manine chiuse a pugno che si appoggiavano al nasino tondo. E pervaso da questo amore e serenità sapeva che sarebbe arrivato anche per lui il momento in cui l'equilibrio naturale delle cose si sarebbe stabilito e il microcosmo l'avrebbe ospitato e accolto come se non fosse mai mancato.
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