TRE CITTA'
Avevo scritto
Ode a Damo in condizioni di estrema precarietà da più di un punto vista, la vigilia di un intervento chirurgico di una certa importanza, la solitudine, le preoccupazioni lavorative relative a un impiego promessomi che tardava a concretizzarsi, e di conseguenza economiche. Per esempio e a questo proposito soltanto il pomeriggio di due giorni avanti avevo avuto una discussione con la padrona di casa la quale mostrava di non capire tutto il complesso di circostanze sfortunate che tentavo di spiegarle – oppure sì, diceva di comprenderle, ma poi batteva cassa, mi faceva pressioni e, devo ammettere, a giusta ragione, perché non stava scritto da nessuna parte – a differenza di ciò che Lorenzo sosteneva, aveva sostenuto, all'ospedale quando mi era venuto a trovare dopo l'intervento – che la riscossione di quell'affitto per la padrona di casa non fosse che un sovrappiù senza il quale avrebbe potuto tirare avanti ugualmente e anzi senza nessun tipo di modificazione del proprio
e/o della sua famiglia tenore di vita, alla fine, esasperato, avevo sbattuto letteralmente la porta in faccia alla padrona della – devo ammettere –
sua casa.
Ode a Damo fu uno sprazzo illusorio, evanescente di ribellione alla morte da cui mi sentivo accerchiato e per certi versi preparato, tanto illusorio e evanescente che soltanto poche ore dopo, la mattina dopo, mi presentai all'accettazione dell'ospedale in condizioni per così dire approssimative, non presente a me stesso, svagato per non dire
inebetito, e naturalmente mi ero dimenticato di portarmi dietro le carte necessarie per il ricovero, mi ricoverarono sulla parola con l'accordo che qualcuno avrebbe celermente provveduto a fornirne la segreteria del reparto. Già, ma a chi chiedere se non a Lorenzo, se anche mio fratello aveva solennemente giurato sui suoi figli di non volere avere più a che fare con me, se mia madre mi era stata per così dire sottratta – da lui, appunto - vista l'acclarata impossibilità da parte mia di accudirla nonostante le promesse, il mio preteso impegno? Lo chiamai, lo istruii sulle pratiche da portare all'ufficio dell'ospedale, colsi l'occasioni per dirgli di Ode a Damo, in quale cassetto recuperarlo e a chi recapitarlo. Mi operarono e tutto andò bene, il pomeriggio del giorno dopo l'intervento Lorenzo venne da me dicendomi che Franco Coletti, colui a cui su mia istruzione aveva recapitato l'Ode, si era dichiarato integralmente soddisfatto e si era raccomandato di inviarmi oltre a un caloroso per quanto canonico in bocca al lupo, i sensi del suo più vivo compiacimento per ciò che, così Lorenzo riportandomi parola per parola ciò che Coletti aveva proferito, giudicava di rara fattura, preziosa come un gioiello simbolico, porosa come pietra lunare.
[Modificato da paper. 15/07/2012 19:30]
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