È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
a Londra non fui sobrio, mai. e durante peregrinazioni sessuali e sollecitazioni alcoliche, attraversai la nera disperazione meditando sul vizio abissale!
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Georg Trakl

Ultimo Aggiornamento: 13/10/2009 18:24
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30/09/2009 19:23
 
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METAMORFOSI

Lungo giardini autunnali rosso - arsi:
qui ferve nel silenzio una vita attiva.
Le mani dell'uomo portano bruni tralci,
mentre mite il dolore nello sguardo reclina.

A sera: passi attraversano una terra nera
più appariscenti nel silenzio di rossi faggi.
Un azzurro animale s'inchinerà alla morte
e orrenda marcisce una veste vuota.

In calma si gioca dinnanzi alla taverna,
un volto ebbro è nell'erba affondato.
Frutti di sambuco, flauti dolci ed ebbri,
profumo di reseda che femminilità irrora.
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Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.
Martha Medeiros


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DE PROFUNDIS

C'è un campo di stoppie, nel quale nera pioggia cade.
C'è un albero bruno, che sta là solitario.
C'è un vento bisbigliante che aggira vuote capanne -
com'è triste questa sera.

Lungo lo stagno
la mite orfana raccoglie scarse spighe ancora.
I suoi occhi rotondi e dorati pascono nel crepuscolo
e il suo grembo attende lo sposo celeste.

Al ritorno
trovarono i pastori il dolce corpo
imputridito nel cespuglio di rovi.

Un'ombra sono io lontana da cupi borghi.
Il silenzio di Dio
bevvi alla fonte silvana.

Sulla mia fronte appare freddo metallo.
Ragni cercano il mio cuore.
C'è una luce, che nella mia bocca si spegne.

A notte mi trovai in una landa,
irrigidito d'immondizie e polvere di stelle.
Nel cespuglio di nocciòlo
risuonavano ancora angeli cristallini.
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Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
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CANTO DELLA SERA

Se a sera passiamo per sentieri oscuri,
appaiono le nostre pallide figure davanti a noi.

Se la sete ci assale,
beviamo le bianche acque dello stagno,
la dolcezza della nostra triste infanzia.

Come morti posiamo sotto il cespuglio di sambuco,
seguiamo il volo dei gabbiani grigi.

Nuvole di primavera salgono sopra la tetra città,
che nasconde in silenzio i tempi più nobili dei monaci.

Quando io presi le tue mani sottili,
tu apristi piano gli occhi rotondi.
Ciò da tempo è passato.

Ma se un'oscura melodia l'anima invade,
appari tu, bianca, nel paesaggio autunnale dell'amico.
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AL FANCIULLO ELIS

Elis, quando il merlo chiama nel bosco nero,
è questo il tuo tramonto.
Le tue labbra bevono la frescura dell'azzurra sorgente.

Abbandonati, se la tua fronte sommessa sanguina
antichissime leggende
e l'oscuro senso del volo degli uccelli.

Tu però vai con morbidi passi nella notte
che colma di purpurei grappoli pende,
e muovi più sciolto le braccia nell'azzurro.

Un cespuglio di rovi risuona,
dove sono i tuoi occhi lunari.
Oh, da quanto tempo sei tu, Elis, estinto.

Il tuo corpo è un giacinto,
nel quale un monaco affonda le eburnee dita.
Una nera voragine è il nostro silenzio,

dal quale talvolta un mite animale esce
e lentamente le pesanti palpebre china.
Sulle tue tempie goccia nera rugiada,

l'ultimo oro di stelle declinanti.
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ELIS

1

Perfetta è la quiete di questo giorno dorato.
Sotto antiche querce
appari tu, Elis, in riposo con occhi rotondi.

Il loro azzurro rispecchia il sopore degli amanti.
Sulla tua bocca
si spensero i loro rosei sospiri.

A sera il pescatore ritrasse le pesanti reti.
Un buon pastore
guida il suo gregge lungo il margine del bosco.
Oh, come son giusti, Elis, tutti i tuoi giorni.

Lieve scende
su muri spogli l'azzurra quiete dell'olivo,
si spegne di un vecchio l'oscuro canto.

Battello dorato
dondola, Elis, il tuo cuore nel cielo solitario.


2

Un soave cariglione risuona nel petto di Elis
la sera, quando il suo capo affonda nel nero guanciale.

Un'azzurra fiera
sanguina sommessa nel groviglio di rovi.

Un albero bruno sta là appartato;
i suoi frutti azzurri sono caduti.

Segni e stelle
affondano lievi nello stagno della sera.

Dietro il colle è sceso l'inverno.

Azzurre colombe
bevono la notte il sudore gelido,
che scorre dalla fronte cristallina di Elis.

Sempre risuona
su muri neri di Dio il vento solitario.

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HELIAN

Nell'ore solitarie dello spirito
è bello camminare al sole
lungo i gialli muri dell'estate.
Levi risuonano i passi nell'erba; ma sempre
dorme il figlio di Pan nel grigio marmo.

A sera sulla terrazza c'inebriammo di bruno vino.
Rossastra arde la pesca nel fogliame;
dolce sonata, lieto riso.

Bello è il silenzio della notte.
Su oscuro piano
c'incontriamo con pastori e bianche stelle.

Quando viene l'autunno
appare una tersa chiarezza nella selva.
Placati peregriniamo lungo rossi muri
e gli occhi rotondi seguono il volo degli uccelli.
A sera scende la bianca acqua nell'urne funerarie.

Tra spogli rami fa festa il cielo.
In pure mani porta il campagnolo pane e vino
e in pace maturano le frutta nell'assolata stanza.

Oh com'è serio il volto dei cari morti.
Ma rallegra l'anima una visione giusta.

Imponente è il silenzio del devastato giardino,
quando il giovane novizio, la fronte di brune foglie coronata,
il suo respiro gelido oro beve.

Le mani sfiorano l'antica età di azzurre acque
o in fredde notti le bianche guance delle sorelle.

Lieve e armonioso è l'andar lungo amichevoli stanze,
dov'è solitudine e il mormorìo dell'acero,
dove forse ancora il tordo canta.

Bello è l'uomo e chiara apparizione nel buio,
quando con stupore braccia e gambe muove,
e in purpuree cavità calmi gli occhi ruotano.

Al vespro si perde lo straniero in mezzo a nera devastazione novembrina,
tra fradicia ramaglia, lungo muri pieni di lebbra,
dove dianzi il santo fratello andava,
immerso nel dolce suono di corde della sua follìa.

Oh, come solitario si spegne il vento della sera.
Morente si china il capo nell'oscurità dell'olivo.


Sgomenta il tramonto della stirpe.
In quest'ora si riempiono gli occhi del contemplante
con l'oro delle sue stelle.

A sera affonda un cariglione che più non suona,
rovinano i neri muri sulla piazza,
un soldato morto invita alla preghiera.

Pallido angelo
entra il figlio nella vuota casa dei padri.

Le sorelle sono andate lontano da bianchi vecchi.
Di notte le trovò il dormente sotto le colonne nell'atrio,
rientrate da tristi pellegrinaggi.

Oh, come rigida di fango e vermi la loro chioma,
quando egli là dentro con argentei piedi sta,
e quelle escono morte da spoglie stanze.

Oh, voi salmi nell'infocate piogge di mezzanotte,
quando con ortiche i servi i miti occhi batterono,
gli infantili frutti del sambuco
con stupore si chinano sopra un sepolcro vuoto.

Lievi rotolano ingiallite l'une
sopra i febbrili lini del giovinetto,
prima che il silenzio dell'inverno segua.


Un elevato destino medita giù lungo il Cedron,
dove il cedro, tenera creatura,
sotto gli azzurri cigli del padre si dispiega,
sul pascolo a notte il pastore il suo gregge guida.
O sono urla nella notte,
quando un angelo bronzeo nella selva l'uomo incontra,
la carne del santo su rovente graticola si fonde.

Intorno a capanne di argilla s'avviticchia purpurea vite,
sonanti fasci d'ingiallito grano,
il ronzìo delle api, il volo della gru.
A sera s'incontrano risorti su sentieri di roccia.

In nere acque si specchiano lebbrosi;
o si aprono vesti macchiate di fango
piangendo al balsamico vento, che dal roseo colle spira.

Sottili ancelle vanno a tentoni pei vicoli notturni,
se mai trovassero l'amante pastore.
Al sabato risuona nelle capanne un soave canto.

Lascia che la canzone ricordi anche il fanciullo,
la sua follìa, il bianco ciglio e la sua dipartita,
il putrescente, che azzurrini gli occhi apre.
Oh, com'è triste questo rivedersi!


I gradini della follìa in nere stanze,
le ombre dei vecchi sotto la porta aperta,
quando l'anima di Helian in roseo specchio si mira
e neve e lebbra dalla sua fronte calano.

Alle pareti si son spente le stelle
e le bianche sembianze della luce.

Dal tappeto sorge ossame di tombe,
il silenzio di cadenti croci al colle,
la dolcezza dell'incenso nel purpureo vento della notte.

Oh, voi occhi infranti in nere bocche,
quando il nipote in ottenebramento mite
solitario l'oscura fine medita,
il Dio silenzioso su di lui gli azzurri cigli cala.
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A UN MORTO PREMATURO

Oh, il nero angelo che uscì lieve dall'interno dell'albero,
quando noi eravamo miti compagni di gioco la sera,
al margine dell'azzurrina fontana.
Quieto era il nostro passo, gli occhi rotondi nella bruna frescura dell'autunno,
oh, la purpurea dolcezza delle stelle.

Ma quello scendeva i gradini di pietra del Mönchsberg,
un azzurro sorriso nel volto e stranamente avviluppato
nella sua più quieta infanzia e morì;
e nel giardino rimase l'argenteo volto dell'amico,
origliando nel fogliame o nell'antico petrame.

L'anima cantava la morte, il verde sfacimento della carne
ed era il mormorio del bosco,
il fervido lamento della fiera.
Sempre risuonavano da crepuscolari torri le azzurre campane della sera.

Venne l'ora che quello le ombre nel purpureo sole vide,
le ombre della putredine nello spoglio fogliame;
sera, quando al muro crepuscolare cantò il merlo,
lo spirito del precocemente morto nella quieta stanza apparve.

Oh, il sangue che dalla gola del risonante scorre,
azzurro fiore; oh le ardenti lacrime
piante nella notte.

Dorata nuvola e il tempo. Nella solitaria stanza
inviti a ospite più spesso il morto,
vagando sotto gli olmi in confidente colloquio giù lungo il fiume.
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CREPUSCOLO SPIRITUALE

Silenziosa t'incontra al margine del bosco
una oscura fiera;
sul colle si spegne lieve il vento della sera,

ammutisce il lamento del merlo,
e i miti flauti dell'autunno
tacciono nel canneto.

Su nera nuvola
percorri tu ebbro di papavero
il notturno stagno,

il cielo stellato.
Sempre risuona la lunare voce della sorella
attraverso la notte spirituale.
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NASCITA

Monti: nerità, silenzio, neve.
Rossa dal bosco discende la caccia;
oh, i muscosi sguardi della fiera.

Silenzio della madre; sotto neri pini
si aprono le dormenti mani,
quando in declino la fredda luna appare.

Oh, la nascita dell'uomo. Notturna rumoreggia
l'azzurra acqua nel grembo della roccia;
sospirando scorge la sua immagine l'angelo caduto,

si risveglia un che di pallido nella tetra stanza.
Due lune
risplendono gli occhi della petrosa vegliarda.

Ahimè! l'urlo della partoriente. Con oscura ala
sfiora le tempie del fanciullo la notte, neve,
che sommessa da purpurea nube scende.
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TRASFIGURAZIONE

Quando scende la sera,
ti abbandona lieve un azzurro volto.
Un piccolo uccello canta nel tamarindo.

Un mite monaco
congiunge le mani spente.
Un bianco angelo visita Maria.

Una corona notturna
di violette, grano e purpurea uva
è l'anno del contemplante.

Ai tuoi piedi
si aprono le fosse dei morti,
quando posi la fronte sull'argentee mani.

Silenziosa dimora
sulla tua bocca l'autunnale luna,
ebbra dell'azzurro canto del succo di papavero;

azzurro fiore
che lieve risuona entro ingiallita pietra.

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06/10/2009 21:59
 
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TRAMONTO

O spirituale rivederci
nell'antico autunno.
Rose gialle
si sfogliano nel recinto del giardino,
in scura lacrima
si è dissolto un grande dolore.
O sorella!
Così silenzioso finisce il giorno dorato.
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06/10/2009 22:01
 
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Credo che questa sia la tua traduzione
Così piano suonano…

Così piano suonano
Di sera le ombre azzurre
Sul bianco muro.
Silenzioso tramonta l’anno autunnale.

Ora di infinita malinconia,
Come se io subissi la morte per te.
Soffia dalle stelle
Un vento di neve fra i tuoi capelli.

Oscure canzoni
Intona in me la tua bocca purpurea,
La silenziosa capanna della nostra infanzia,
Leggende dimenticate;

Come se io abitassi, mite animale,
Nell’onda cristallina
Della fresca sorgente
E fiorissero attorno le viole.
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06/10/2009 22:23
 
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Sì, è così. Intanto grazie. Fra le ultime che hai postato ce ne sono alcune fra le più belle.
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"é melhor ser alegre que ser triste / alegria é a melhor coisa que existe..." (samba da bençao)
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13/10/2009 18:16
 
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LAMENTO

Giovinetto da cristallina bocca
il tuo aureo sguardo calò nella valle;
onda boschiva rossa e smorta
nella nera ora serale.
Così profonde ferite la sera inferisce!

Angoscia! della morte inquieto sogno,
morta fossa già apprestata
appare da albero e animale l'anno;
spoglio terreno e zolla di campo,
chiama il pastore il timoroso gregge.

Sorella, i tuoi azzurri cigli
accennano lievi nella notte.
Organo sospira e inferno ride
e uno sgomento afferra il cuore;
stelle e angelo vorrebbe guardare.

Una madre per il suo bimbo teme;
rosso rimbomba nella miniera il metallo,
libidine, lacrime, petroso dolore,
dei titani le oscure saghe.
Tristezza! solitarie lamentano l'aquile.
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RIVELAZIONE E CADUTA

Strani sono i sentieri notturni degli uomini. Quando io vagavo nel sonno per le petrose stanze e in ognuna ardeva una piccola lampada silenziosa, un candeliere di rame, e quando io rabbrividendo caddi sul giaciglio, si ergeva alle mie spalle di nuovo la nera ombra della straniera e muto io nascosi il volto nelle lente mani. Era anche alla finestra fiorito azzurro il giacinto e saliva alle purpuree labbra del respirante l'antica preghiera, cadevano dai cigli cristalline lacrime, piante per l'amaro mondo. In quell'ora fui nella morte di mio padre il bianco figlio. Con azzurri brividi veniva dal colle il vento notturno, l'oscuro lamento della madre, di nuovo morente ed io vidi il nero inferno nel mio cuore; attimi di trepido silenzio. Lieve uscì dal muro intonacato un indicibile volto - un fanciullo morente - la bellezza di una stirpe che rimpatria. Biancore lunare avvolse la frescura della pietra le vigili tempie, dileguarono i passi delle ombre su consunti gradini, un roseo girotondo nel breve giardino.

Muto sedevo in una desolata taverna sotto travi annerite dal fumo e solitario davanti al vino; splendente cadavere chino su un non so che di oscuro e giaceva un morto agnello ai miei piedi. Da azzurrità putrescente uscì la pallida figura della sorella e così parlò la sua bocca sanguinante: pungi nera spina. Oh, ancora mi risuonano di selvagge tempeste le braccia argentee. Scorra sangue dai piedi lunari, germoglianti su notturni sentieri, dove il ratto sguscia stridendo. Sfavillate voi stelle nei miei ricurvi cigli; e risuoni lieve il cuore nella notte. Irruppe una rossa ombra con fiammeggiante spada nella casa, fuggii con fronte nevosa. Oh, amara morte.
E usciva da me una oscura voce: al mio morello ho spezzato la nuca nella foresta notturna, quando dai suoi purpurei occhi sprizzava la follia; le ombre degli olmi caddero su di me, l'azzurro riso della fontana e la nera frescura della notte, quando io selvaggio cacciatore stanavo una nevosa fiera; in petrigno inferno smoriva il mio volto.
E scintillante cadde una goccia di sangue nel vino del solitario, e quando io ne bevvi, aveva sapore più amaro del papavero; e una nera nuvola avvolse il mio capo, lacrime cristalline di angeli dannati; e lieve scorreva dall'argentea ferita della sorella il sangue e cadde su di me una pioggia di fuoco.

Lungo il margine del bosco voglio andare, creatura silenziosa, dalle cui mani, senza parole, calò il sole crinito; straniero sul colle serale, che piangendo solleva i cigli sulla città petrosa; fiera che sta silenziosa nella pace del vecchio sambuco; oh, senza requie origlia il capo crepuscolare, o forse gli incerti passi seguono l'azzurra nuvola sulla collina, anche astri severi. In disparte ti guida silenziosa la verde messe, ti accompagna su muschiosi sentieri del bosco timido il capriolo. Le capanne dei villici si sono rinchiuse mute e nella nera tregua del vento impaura l'azzurro lamento del torrente.
Ma quando io discesi il sentiero di roccia mi assalì la follia e gridai forte nella notte e quando io con argentee dita mi chinai sull'acqua taciturna vidi che il mio volto mi aveva abbandonato. E la bianca voce mi disse: ucciditi! Sospirando si levò in me l'ombra di un fanciullo e mi guardò raggiante da occhi cristallini, così che piangendo mi accasciai sotto gli alberi, l'immensa volta stellare.

Peregrinazione senza pace attraverso il selvaggio pietrame, lontano da borghi serali, da greggi al ritorno; in lontananza si pasce il sole calante su prato di cristallo e ti sconvolge il suo selvaggio canto, il grido solitario dell'uccello, morente in azzurra pace. Ma sommesso venivi tu nella notte, mentre io vegliando giacevo sul colle, o infuriando nella tempesta primaverile; e sempre più nera la tristezza annuvola il capo appartato, atterriscono orrendi lampi l'anima notturna, le tue mani squarciano il mio petto ansante.

Quando andai nel giardino crepuscolare e la nera figura del Male si era da me ritratta, mi avvolse il giacinteo silenzio della notte; e io navigai in ricurva navicella nello stagno in riposo e una dolce pace mi sfiorò la fronte impietrata. Senza parole giacevo sotto gli antichi salici ed era l'azzurro cielo alto sopra di me e pieno di stelle; e mentre io mi smarrivo guardando, morirono angoscia e dei dolori il più profondo in me; e si levò l'azzurra ombra del fanciullo raggiante nel buio, soave canto; si levò su lunari ali al di sopra delle verdeggianti cime, scogli di cristallo, il volto della sorella.

Con argentee suole scesi gradini di spine ed entrai nell'intonacata stanza. Tranquillo ardeva là dentro un candeliere ed io nascosi in purpurei lini, muto, il capo; e rigettò la terra un cadavere infantile, figura lunare che lentamente dalla mia ombra uscì, con braccia infrante cadde per petrose frane, neve fioccosa.
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GRODEK

La sera risuonano i boschi autunnali
di armi mortali, le dorate pianure
e gli azzurri laghi e in alto il sole
più cupo precipita il corso; avvolge la notte
guerrieri morenti, il selvaggio lamento
delle lor bocche infrante.
Ma silenziosa raccogliesi nel saliceto
rossa nuvola, dove un dio furente dimora,
il sangue versato, lunare frescura;
tutte le strade sboccano in nera putredine.
Sotto i rami dorati della notte e di stelle
oscilla l'ombra della sorella per la selva che tace
a salutare gli spiriti degli eroi, i sanguinanti capi;
e sommessi risuonano nel canneto gli oscuri flauti dell'autunno.
O più fiero lutto! voi bronzei altari,
l'ardente fiamma dello spirito nutre oggi un possente dolore,
i nipoti non nati.
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