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La levatrice le aveva consigliato di fare qualsiasi cosa le piacesse. Mangiare, dormire, passeggiare, rilassarsi, essere il più possibile serena. Per quello ora, nonostante l'ora tarda, passeggiava avvolta nel giaccone di piume, per la strada. Di fianco a lei, il marito con un'aria sconsolata. Stava già per addormentarsi nel tepore del divano quando lei aveva deciso che doveva uscire e “sentire l'aria di neve che le raffreddava il naso”. Da quando aveva quel pancione enorme puntato addosso non riusciva più a dire di no a niente e così si era alzato sapendo di non aver altra via di fuga e ora le passeggiava stancamente a fianco, sperando che quell'aria di neve, che tanto piaceva alla moglie, si trasformasse nell'aria calda del suo appartamento, e il cappotto nelle morbide coperte del suo letto.
“Ci siamo” disse lei ad un certo punto con la tranquillità che lui le riconosceva in ogni situazione.
E così passarono come attimi quei minuti che dal freddo della strada li avevano portati all'ospedale, e già erano diventati ricordi sfuocati quei momenti in cui le contrazioni si facevano sempre più frequenti, il dolore di lei aumentava e l'impotenza di lui cresceva.
Ora l'unica cosa che rimaneva era lo sguardo di quegli occhi neri, un po' seri, che ti fissavano come se potessero imparare a conoscerti solo dallo sguardo. L'espressione era un po' grave, ma qualcosa di speciale ti spingeva a non staccarti da quel viso, come se non fosse necessario essere particolarmente belli o teneri, bastava solo perdersi nel fondo di quegli occhi per sentirsi amati, sereni e protetti.
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