00 30/10/2011 20:59
scrivevo al bar aspettando una ragazza che poi non arrivò. il barista era un gran puttaniere che dalla sua non aveva la freschezza, avendo 65 anni.
il barista mi narrò tutte le sue avventure e io decisi di raccoglierle in un libro e questo libro avrebbe dovuto aprirsi con un'invocazione. ma l'invocazione, Ode a Damo, divenne una cosa a sè stante, trabordò. lasciai perdere il progetto del libro sul puttaniere e mi concentrai sull'invocazione.
l'intitolai Ode a Damo e altri viaggi ma una volta terminato mi resi conto che era un libro visionario per non dire drogato e che non sarebbe stato assolutamente vendibile e nemmeno proponibile.
in questo mio fratello fu durissimo.
così decisi che quello sarebbe stato il mio libro. si sa che se uno dice di scrivere per se stesso non fa altro che esercitare l'arte del non sense. ma io mi proposi di fare sul serio: l'Ode non sarebbe stata di nessun altro che mia.
come quando mi chiudevo in una stanza da solo o con Vinci o con qualcun altro cercando altri viaggi.
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