a Londra non fui sobrio, mai. e durante peregrinazioni sessuali e sollecitazioni alcoliche, attraversai la nera disperazione meditando sul vizio abissale!
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De otio

Ultimo Aggiornamento: 05/11/2008 19:00
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Sesso: Femminile
04/11/2008 11:10
 
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I. Tutti sono d'accordo nel ritenere che, vivendo in società, è difficile essere immuni dai vizi, e allora, se non abbiamo altro mezzo per salvarci da essi, isoliamoci: già questo solo fatto ci renderà migliori. D'altronde chi c'impedisce, pur vivendo appartati, di avvicinare uomini virtuosi e ricavarne un esempio su cui modellare la nostra esistenza? E ciò non è possibile se non in una vita tranquilla, lontana dalle pubbliche faccende: solo così potremo mantenere fermi i nostri propositi, non avendo accanto nessuno che, sollecitato dalla grande massa che gli sta intorno, possa distoglierci dalla nostra decisione, ancora instabile, all'inizio, e perciò facile a sgretolarsi. Allora sì la nostra vita potrà procedere uniforme e costante, perché non turbata dalle idee più diverse e contrastanti. Inoltre, come se già non bastassero i numerosi mali che ci affliggono, passiamo da un vizio all'altro, e questo è il guaio peggiore: restassimo almeno attaccati a un vizio solo, quello che ci è più familiare e che abbiamo ormai sperimentato! Così a questo inconveniente si aggiunge pure il tormento che ci rode nel constatare come le nostre scelte, oltre che cattive, siano anche incostanti. Siamo sballottati di qua e di là come dai flutti o dal vento, ed ora ci attacchiamo ad una cosa, ora ad un'altra, lasciamo ciò che avevamo cercato e ricerchiamo ciò che avevamo lasciato, in un altalenante avvicendarsi di desideri e pentimenti. Questo perché dipendiamo sempre dalle opinioni degli altri, ci sembra migliore ciò che ha un gran numero di aspiranti e di elogiatori e non ciò che va lodato e ricercato per il suo intrinseco valore, così come una strada la giudichiamo buona o cattiva non di per se stessa ma dalla quantità delle impronte e dal fatto che fra di queste non ce ne sia nessuna che torni indietro.
Qualcuno mi dirà: "Ma Seneca, che fai? Tradisci la tua scuola? I tuoi compagni stoici, infatti, dicono chiaramente che bisogna partecipare alla vita attiva sino all'ultimo fiato, adoperarsi per il bene comune, aiutare gli uomini, singolarmente, soccorrendo persino i propri nemici, operare, insomma, in modo concreto, sforzandosi in prima persona. "Noi siamo quelli", così essi dichiarano, "che non conoscono congedi o aspettative, e come dice quel facondissimo poeta (Virgilio, En. IX, 12; ndr)
anche vecchi e canuti combattiamo
Noi siamo quelli che non hanno un solo attimo di tregua finché non giunga la morte, al punto che - se mai fosse possibile - la morte stessa per noi non sarebbe un riposo." E allora? Perché innesti i precetti di Epicuro sui principi basilari di Zenone? Se non ti va più a genio la tua scuola, perché non ti premuri di lasciarla, invece di comportarti come un traditore?". Gli rispondo così, per il momento: "Io seguo i miei maestri: cosa vuoi che faccia di più? Cammino sulle loro orme, non mi spingo più oltre, dove essi non sono ancora arrivati".
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